Il sabato è fatto per dormire fino a tardi.
Anche la domenica per la verità, ma il sabato ha tutto un altro sapore.
Quello dei risvegli lentissimi e senza orario.
Dell’improvvisazione e dei piani destinati a essere rivisti.
Delle grandi ambizioni e dei lasciamo fare al caso.
Altrimenti per me non è un vero sabato, ma un qualsiasi altro giorno della
settimana scandito da orari e impegni ben precisi.
Solo leggermente più entusiasmante per la prospettiva di un altro giorno ancora di riposo.
Ma va goduto fino in fondo, altrimenti non c'è gusto.
La cosa più bella è aprire gli occhi a una certa, tipo le cinque o anche le otto del mattino, stiracchiarsi un po’, prendere il tablet per leggere qualche ultima novità e poi rimetterlo sul comodino e girarsi dall’altra parte.
A dormire ancora.
Senza remore.
Senza vergogna.
Ma questo tira e molla, sabato scorso non avviene. Dormo tutta una tirata e riapro gli occhi (riposata ma non del tutto convinta ancora di alzarmi) in un orario in cui mi sembra che il sole sia già abbastanza alto;
gli uccellini non cinguettano più in modo concitato come se fossimo sul fare dell’alba;
i campi da tennis nelle immediate vicinanze riecheggiano abbondantemente dei palleggi fra gli atleti improvvisati del fine settimana;
orde di bambini pare si stiano rincorrendo festanti nel parchetto giochi sotto casa.
E a meno che tutta questa gente non sia caduta giù dal letto saranno, a occhio e croce, almeno le nove.
Allungo una mano sull’altra metà di letto e la scopro vuota e congelata: l’amato bene deve essersi alzato già da un pezzo.
Sbadiglio e mi stiracchio soddisfatta.
Questo sì che è un vero sabato! Chissà che ore saranno.
Ma la sveglia sul comodino è ferma da quel dì, in attesa che mi decida a cambiare la batteria.
E quella dell’amato bene è girata e di certo non mi viene in mente di allungarmi a verificare.
Perché poi in fondo, sostanzialmente: cosa me ne cale?
Traccheggio e cincischio un altro pochetto prima di conquistare la posizione seduta, stiracchiarmi ancora una volta, guardarmi intorno, restare imbambolata qualche altro attimo, spiccicare definitivamente gli occhi, inforcare con tutta calma gli occhiali, mettere finalmente a fuoco il resto della stanza, infilare un piede dentro una ciabatta, quindi l’altro, alzarmi e imboccare - con cautela - le scale per scendere a fare colazione.
Trovo l’amato bene alle prese con la sua cassetta degli attrezzi e un’anta della cucina.
Mi guarda allibito, un po’ stralunato, e se non lo conoscessi bene direi perfino vagamente allarmato.
Biascico un sonnolento e appena udibile buongiorno amore prima di essere inghiottita dall’ennesimo sbadiglio mentre cerco di abbassarmi i soliti capelli dritti sulla testa e stropicciarmi gli occhi da sotto gli occhiali.
“Appena in tempo. Due minuti e avrei chiamato la polizia”
Ma non ho ancora la lucidità per capire.
Polizia?
Mi allarmo io.
Hanno cercato di entrare dentro casa?
Ci hanno rubato il mastello dell’umido che abbiamo messo fuori ieri sera?
Tentato di scassinare la portiera della macchina?
Mi indica l'orologio.
No, è che so’ le 11. La polizia l’avrei chiamata per me, pe chiarì subito che io non c’entravo niente coll’eventuale decesso.
Metti che venivo su all’una, quelli poi mi avrebbero detto: perché non ci ha chiamati prima? Possibile non si sia insospettito non vedendo sua moglie scendere?
Esagerato. In fondo ho riaperto gli occhi appena dodici ore dopo averli chiusi.
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Senza glutine, senza zucchero e senza lievito.Con la dolcezza del miele, la sofficità delle mele e la friabilità della farina di riso. In più, il tocco rustico e deciso della farina di ceci. Una torta di mele un po’ particolare, che a noi è piaciuta moltissimo!
Ingredienti (per uno stampo da 18-22 cm)
200 gr di farina di riso (io integrale)
70 gr di farina di ceci
70 gr di fecola di patate
130 gr di miele (160 nella ricetta originale)
120 ml di latte di riso
60 ml di olio di semi di girasole (olio di riso nella ricetta originale)
2 uova
1 mela media (o due piccole)
1 limone non trattato (succo e buccia)
1 cucchiaino di cremor tartaro + 1 cucchiaino di bicarbonato (oppure 2 cucchiaini di lievito per dolci)
1 pizzico di sale
Procedimento
Sbucciare la mela e tagliarla a fettine non troppo spesse, metterle in una ciotola e ricoprirle di succo di limone. Se il miele è molto denso, scioglierlo dolcemente a bagnomaria. Rompere le due uova in una ciotola dai bordi alti e montarle con il pizzico di sale per almeno 5 minuti o finché non saranno diventate gonfie e spumose. Aggiungere il miele, poi l’olio e il latte continuando a mescolare. Da ultimo unire anche la scorza grattugiata del limone. Passare quindi alle polveri: passandole al setaccio unire al composto liquido la fecola di patate, la farina di riso e quella di ceci.
Mescolare tra di loro il cremor tartaro e il bicarbonato (altrimenti il primo non si attiverà) e solo dopo aggiungerli al resto dell’impasto.
Trasferire tutto in uno stampo oliato e infarinato e livellarlo bene. Disporre sulla superficie le fettine di mela facendole sprofondare appena e cuocere in forno già caldo, a 180° per 30-35 minuti, facendo la prova stecchino.