Anche quest’anno lo sfiancante lavoro del cambio di stagione agli armadi si è consumato senza spargimenti di sangue né avvio di pratiche di divorzio.
Ma a entrambe le conclusioni siamo andati, più di una volta, molto vicino.
Due mondi che si scontrano. Una rivoluzione planetaria, uno tsunami di vestiti, scarpe, parei, sciarpe, costumi, calzini, borse, sacche, zaini che girano, cambiano di posto, si insacchettano nei cellophane, si inabissano negli aromi dell’antitarme in gel e sono costantemente alla ricerca di una collocazione definitiva che, dopo cambi di casa e traslochi e ritraslochi non hanno ancora mai trovato.
Perché ogni anno è diverso.
E perché ogni anno è la volta buona che butto via tuttoe poi non butto via niente.
Che ne dici, oggi tiriamo giù gli scatoloni?
Mi propone l’amato bene sabato mattina con l’aria baldanzosa di chi sta proponendo una gita al lago.
Ma è tattica la sua.
Tentativo di arginare il marasma che s’agita dentro e tutto intorno al solo pensiero.
Buttarla in caciara insomma.
Domo il fremito che prende a serpeggiarmi dentro, appena percettibile all’esterno dal tremore del sopracciglio destro, e annuisco decisa, prima che il guizzo di temerarietà, suo e mio, svanisca.
Ma ci pensa lui a spazzarlo brutalmente via.
Ma ci pensa lui a spazzarlo brutalmente via.
Ok, allora finisco prima quei lavoretti in giardino e poi, appena va via la luce, ci mettiamo a fare il cambio di stagione.
Considerando che vige ancora l’ora legale e che il giorno non è proprio un mozzico, ci metteremo a tirare giù il primo scatolone, a occhio e croce, intorno alle sette.
Di sabato sera.
Previa macerazione interna all’allegra prospettiva.
Scusa intanto tiriamoli giù che comincio il mio– gli propongo (ancora) pacificamente.
Ma lui scuote decisamente la testa.
Sa che questa mossa gli sarebbe fatale.
Che mi perderei nelle spire mortali dei miei scatoloni per riemergerne solo nella tarda serata di domenica.
A weekend ormai finito.
E siccome deve parere anche a lui ormai lievemente fuori luogo andarsene in giro in maniche corte alle 6 di mattina, quello che gli preme maggiormente è, a ragion veduta, fare il suo.
Un mostro però da affrontare rigorosamente insieme.
Con la mia (ahimè) indispensabile collaborazione.
Con la mia (ahimè) indispensabile collaborazione.
Per questioni organizzative, innanzitutto: trovare una collocazione pratica e funzionale, che gli permetta di ritrovare la roba anche a occhi chiusi alle 5:30 la mattina quando suona la sveglia.
Calzini a destra, mutande al centro, magliette a sinistra.
Maglioni di qui, felpe di là, camicie di sopra, giacche di sotto.
Con indicazioni stradali ben distribuite e (manca poco) segnaletica a intermittenza.
Calzini a destra, mutande al centro, magliette a sinistra.
Maglioni di qui, felpe di là, camicie di sopra, giacche di sotto.
Con indicazioni stradali ben distribuite e (manca poco) segnaletica a intermittenza.
Poi per ragioni sociali in secondo luogo: distribuire preventivamente i capi per colori, tessuti, fantasie; facendo attenzione che venga eliminato fino all’ultimo capo estivo e scongiurare così di vederlo tornare dal lavoro con la sahariana di cotonino a dicembre inoltrato. Magari sopra al pantalone di velluto.
Del resto l’impiego di tempo per la gestione della sua pratica è abbastanza esiguo.
Gli scatoloni del cambio di stagione sono in tutto otto, così distribuiti: due i suoi, tutti gli altri roba mia.
E ovviamente il cambio va fatto anche per le scarpe.
Io: 18 (mila) paia ognuno nella propria scatola da manovrare con cura.
Lui: tutte dentro una sacca e una borsa da palestra che quando ne serve un modello specifico tocca chiamare mago Silvan per riaccoppiarle.
Ma anche lì va prestata la massima attenzione che non lasci le hawaianas e rimetta via gli anfibi, nella foga di prendere l’iniziativa e selezionare, a parer suo, capi e generi.
Quindi sì dai, tutto sommato possiamo metterci a fare sto cambio (suo), pure alle 7 di sabato sera.
In fondo: che ce vo’?
Poi ci dormo su.
Ed è solo con la calma e la luce del nuovo giorno che affronto il mio.
Previo adeguato training autogeno.
Non prima di aver fatto il vuoto intorno, acceso un bastoncino d'incenso, aver selezionato e avviato una carrellata di musiche rilassanti, spento il cellulare, staccato il citofono, sigillate le finestre, sprangate le porte.
Avviata la metamorfosi.
Non prima di aver fatto il vuoto intorno, acceso un bastoncino d'incenso, aver selezionato e avviato una carrellata di musiche rilassanti, spento il cellulare, staccato il citofono, sigillate le finestre, sprangate le porte.
Avviata la metamorfosi.
E guai a chi s’avvicina fino a lavoro compiuto.
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E dopo quello al cioccolato non poteva mancare la versione al caffè. Altrettanto buona e sfiziosa, a patto di fare un caffè molto robusto o di aggiungere un secondo cucchiaino di caffè solubile al composto. Il segreto è assaggiare dopo averlo fatto e aggiustare secondo i propri gusti.
Buono a merenda, ottimo la mattina per una colazione energetica a base di proteine vegetali!
La fonte di ispirazione è sempre la stessa, con gli aggiustamenti e le modifiche del caso dal momento che avevo ancora quel famoso barattolino di tahin da consumare…
La ricetta originale, senza tahin, la potete trovare qua.
Ingredienti
1 barattolo di ceci
2 cucchiai di sciroppo d’acero
1 tazzina di caffè ristretto
1 cucchiaio di tahin
1 cucchiaio di granella di nocciole (+ altra per decorare)
1 cucchiaino di caffè solubile
1 cucchiaino di vaniglia in polvere
Procedimento
Riunire tutti gli ingredienti nel robot da cucina e azionare fino a quando non si saranno amalgamati e avranno formato una crema densa e omogenea.
In mancanza di quello potete usare tranquillamente il minipimer.
Lasciarla riposare in frigo per almeno un’ora, quindi servirla in bicchierini o coppette decorando con chicchi di caffè o granella di nocciole, oppure spalmata su fette biscottate.