“Basta, st’aerosol non lo sopporto più!”
È con estremo gaudio e sconfinata gioia interiore che sento l’amato bene sbuffare questa frase, pochi giorni or sono, spingendo lontano la macchinetta infernale.
Mentre dentro di me esulto pensando: "Figurati chi ti sente!"
Ma dimostrarsi troppo felici della notizia potrebbe avere l’effetto contrario e indurlo, per non meglio specificata reazione, a sentire di averne ancora bisogno.
A decidere di inaugurare la quarta (QUAR-TA) settimana di terapia.
A stabilire che quello sfarfallio nel naso non sia dovuto alle 18 sigarette che fuma giornalmente ma a quel tenace, presunto raffreddore che ancora non passa.
Accolgo perciò la notizia con apparente indifferenza.
Con l’aria di chi comprende e sostiene ma lascia decidere, non preme, non incoraggia nell’uno o nell’altro senso.
Semplicemente: sta a guardare.
Ma dentro già mi prefiguro scenari bellissimi:
l’angolo di tavolo del soggiorno finalmente libero;
il centrotavola nuovamente al suo posto;
lo sgocciolatoio del lavandino nuovamente privo del piattino con gli attrezzi sciacquati e messi a scolare, ormai da un mese.
Niente più mascherine in giro per casa.
Niente odore di zolfo ad accogliermi la mattina appena sveglia.
Nessuna traccia di fili penzolanti sul pavimento.
Nessuna fialetta rotta a riempire la pattumiera che devi pure stare attenta a non tagliarti quando chiudi il sacchetto.
Niente più ronzii molesti ad allietare serate e riempire mattinate del fine settimana.
Fine dell’aerosol.
Pace riconquistata.
Volteggio per casa mentre passo l’aspirapolvere immaginandomi ognuna di queste scene di armonia ritrovata.
E mi sento leggera, rinata, liberata.
……
Ore 20:30 dell’indomani di questa nuova prospettiva.
Lui è rientrato come sempre prima di me.
Ad accogliermi, non appena apro la porta, un’odore indefinito, forse di tè.
Una sensazione di calore e umidità.
Uno strano, misterioso, ovattato silenzio.
Cerco di individuare la scena che si staglia confusa all’orizzonte del mio sguardo miope.
Mi sforzo di mettere a fuoco.
Strizzo gli occhi inutilmente, perché proprio non riesco a capire.
Almeno nell’immediato.
Non riconosco quell’ammasso informe e indefinito seduto al nostro tavolo con metà corpo proteso sul medesimo.
Finché non mi avvicino abbastanza (e sì che la distanza non è tanta, ma la scena impensabile, questo sì).
E la realtà mi piomba addosso con tutto il suo carico di amarezza.
Gli scenari si sgretolano, l’armonia fa ciao ciao con la manina e se ne va.
Una nuova, drammatica consapevolezza si fa strada dentro di me.
L’ ammasso è lui, l’amato bene, comodamente seduto al suo posto, chino su un pentolone di acqua fumante, con la testa coperta da un pesante asciugamano, intento ad aspirare vapori di pozioni stregonesche che manco voglio sapere.
Uno spettrale “ciao amore” che sembra provenire dalle viscere della terra, soffocato dal telo, smorzato dai vapori.
“Ma non avevi detto basta con l’aerosol?!!!!” lo aggredisco in barba a mosse strategiche che mi imporrebbero calma e sangue freddo.
“Appunto” risponde lui serafico, emergendo dal pentolone in cui di solito cuocio il minestrone, col viso tutto imperlato di goccioline.
“Basta infatti con medicine e prodotti chimici! Avevi proprio ragione, allora ho deciso di ricorrere ai vecchi, cari rimedi della nonna… e di farmi i fumenti! Quelli non hanno controindicazioni né effetti collaterali, no?”.
Aiutateme.
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Che si fa quando si vuole preparare un secondo possibilmente già completo di contorno, da trovare la sera pronto, solo da scaldare, che oltre a tutto ciò sia anche privo di soffritti inutili e, già che ci siamo, strizzi vagamente l’occhio alla linea e al mangiare leggero ma con gusto?
Semplice: si scegli un tipo di carne magro, ci si abbina una verdura succosa e saporita, si butta tutto in pentola e si lascia che i due familiarizzino, rilascino vicendevolmente umori e sapori e facciano, insieme, una pietanza che rende obbligatoria la scarpetta (con le gallette di riso che il pane no, in regime dietetico non è previsto!).
E se pensate a un tacchino stoppaccioso, insipido, dall’aria lessata siete completamente fuori strada: viene morbidissimo, saporito, intriso di tutto il buono dei peperoni.
Tutto a crudo, tutto insieme, tutto in un’unica pentola.
….Cosa volere di più?
Io ho impiegato degli ossibuchi che avevo nel congelatore tagliandoli a pezzi, ma la fesa darà sicuramente il meglio di sé.
Ingredienti (per 2 persone)
1 fesa di tacchino da circa 400 gr
3 peperoni medi (giallo, rosso e verde)
1 pomodoro
1 cipolla
Una manciata di basilico secco
Una manciata di olive nere snocciolate (facoltativo)
½ dado vegetale (senza glutammato)
½ bicchiere d’acqua
Peperoncino
Olio extravergine d’oliva
Sale
Procedimento
Prendere una largo tegame e metterci dentro: la fesa di tacchino tagliata a cubotti, i peperoni lavati, mondati dei semi e tagliati a losanghe, la cipolla affettata sottilmente, il pomodoro tagliato a dadini.
Cospergere generosamente di basilico secco, spolverizzare di peperoncino e salare.
Irrorare con un filo d’olio, aggiungere il mezzo bicchiere d’acqua e il mezzo dado.
Cuocere su fuoco moderato, semicoperto, per circa 45 minuti, girando ogni tanto ed eventualmente aggiungendo un po’ di acqua (calda) se il sughetto dovesse ritirarsi troppo.
Al contrario se fosse troppo liquido, farlo restringere alzando la fiamma e scoprendo il tegame negli ultimi 5 minuti di cottura.