Beh, era pure ora di tornare a cucinare da queste parti!
Non che in verità abbia mai smesso di farlo in tutto questo periodo, ma le premure erano altre e tra auguri, stop vacanziero, viaggetti e post dedicati, il tempo è volato via così.
Le feste sono scivolate via senza (troppo) colpo ferire, a parte residui di torrone, un quarto di panettone e svariate confezioni-regalo di cioccolatini ancora da smaltire.
Regali belli (e in alcuni casi anche inaspettati), piacevoli momenti in compagnia, due giri di tombola fra un pisolino e il rischio serio di incorrere in una crisi isterica all’ennesima richiesta, da parte dell’accanitissimo settore agè del tavolo da gioco, di ripetere l’ultimo numero uscito, che “se fate casino nun se capisce gnente”, manco si trattasse di un poker da giocare in religioso silenzio spizzandosi le carte poco a poco e manco, noi casinari fossimo ancora i bambini che eravamo (magari!).
E poi, come ogni anno, assaporare un po’ di malinconia nel riporre palle e palline, fili dorati e candele, babbi natale, renne e angioletti e pigne dorate ognuno nella sua scatolina e poi tutte quante nello scatolone da chiudere e portare a soggiornare nella cantina dei suoceri fino al prossimo natale….Quest’ultima operazione in verità sarei ancora qua a decidere di portarla a termine, ma tempo al tempo.
Perché poi l’anno nuovo è iniziato pari pari con i ritmi frenetici di quello vecchio, nonostante tutti i migliori e più accaniti propositi di cambiamento e di elogio della lentezza.
Qualche novità tuttavia c’è e anche di un certo spessore.
Sorprese elargite e perpetrate dall’amato bene, scese a illuminare i miei rientri a casa (ben oltre l’ora di cena) e a scaldarli di nuove e corroboranti energie.
I panni stirati infatti non sono più un miraggio come quella volta lì , ma (udite udite!) una pratica costante trasformatasi in paradisiaca abitudine. In sintesi: ora le camicie della divisa (e quando capitano, pure le mie) se le stira, regolarmente, da solo!!
Ma non è tutto. Mentre io ancora sul treno e dalla stazione prima della mia prendo a lanciare sms dal tono perentorio e un filo minaccioso, con istruzioni precise sul da farsi per una cena non certo degna di questo blog, del tipo: “Amore! Teglia ricoperta di carta forno: buttaci dentro 12 bastoncini e inforna a 180° grazie!” (e della serie: sono finiti i tempi in cui ci si scambiava solo sms traboccanti tenerezza e trasudanti amore purissimo, sigh!), lui armeggia con pane fatto in casa (da lui!) e rimasugli di qualche affettato rinvenuto ramingo nel frigo per accogliermi con aperitivini stuzzicanti atti tamponare la fame da lupo con cui arrivo e che devo tenere a bada almeno per il tempo necessario a concedermi una doccia rinvigorente!
Amore santo.
Infine: basta decidere che i panni stazionanti da 4-5 giorni sullo stendino (posto sul balcone coperto della camera da letto) non siano ancora perfettamente asciutti e si renda quindi necessario traslocare dentro tutto l’accrocco (riducendo ancora di più lo spazio già risicato della casetta in cui deambulare, ma fa niente!), per ritrovarli, al proprio ritorno, raccolti, stirati con le mani e piegati così bene che manco nonna mia avrebbe mai potuto mettersi lì, con tutta quella pazienza a tirare piega per piega un calzino dopo l’altro!
Ecco, se poi quei panni anziché essere allineati diligentemente sul divano trovassero autonomamente la via dei cassetti e degli armadi……….sarebbe davvero il massimo.
Ma credo di potermi accontentare anche così e ammettere che sì, dai, in fondo ho sposato un tesoro di uomo!
@@@@@@@@@@@
Questo piatto l’ho preparato per il pranzo di Santo Stefano. Ricetta di una zia che non è proprio una cuoca abilissima ma questo le riesce davvero molto bene.
E’ di facilissima realizzazione e anche molto pratico: uno di quei piatti che basta condire e buttare in teglia aspettando che cuocia da solo, mentre magari si sta allestendo tutto il resto di un pranzone complicato. Questo a patto però che lo si prenda in macelleria facendoselo tagliare direttamente dagli esperti in materia e soprattutto dotati degli strumenti giusti: cercando di tagliarlo da soli a casa, a parte la fatica, si rischia di smembrarne l’osso molto fragile e ritrovarsene schegge e pezzettini fra la carne mentre si mangia.). In alternativa si può usare la fesa tagliata a pezzi non troppo piccoli, ma in quel caso andrà ridotto notevolmente il tempo di cottura e vigilata con attenzione per far sì che non si asciughi troppo. In entrambi i casi comunque ha un unico, enorme inconveniente: mentre cuoce, dato l’enorme quantitativo di cipolla, sprigiona un odore buonissimo e invitante che, ahimé, rimane però impregnato nei vestiti e sui capelli in maniera esagerata. Soluzione: aprire tutte le finestre anche con la neve fuori e godersi il sapore invece delicato e gustosissimo!
Perché una raccomandazione è d’uopo: non omettete nemmeno un pezzettino delle 6 cipolle indicate…fidatevi!
Ingredienti (per circa 8 persone)
Cosciotto di tacchino (nel mio caso era di oltre 2 kg )
6 cipolle dorate
Un bicchiere grande colmo di succo di arancia (circa 4 arance se sono di medie dimensioni)
6 cipolle dorate
Un bicchiere grande colmo di succo di arancia (circa 4 arance se sono di medie dimensioni)
olio extravergine d’oliva
sale
pepe
sale
pepe
Procedimento
Indispensabile operazione preliminare: farsi tagliare dal macellaio il cosciotto di tacchino a “fette” regolari e una volta a casa risciacquarlo molto bene per eliminare i residui di polvere d’osso. In alternativa cercare i fusi già tagliati al banco del supermercato (si presentano con la forma dell’ossobuco ma io, almeno sotto Natale, non li ho trovati!). Asciugare bene ogni pezzo con della carta assorbente quindi tagliarlo a quadrotti non troppo grandi e disporlo in una teglia capiente.
Personalmente ho tolto via quasi tutta la pelle per renderlo più leggero, ma un po’ ci vuole per mantenerlo morbido, considerando che il tacchino è già una carne magra che tende a seccarsi. Affettare sottilmente le cipolle e disporle intorno alla carne. Salare, pepare, condire con (poco) olio e irrorare di abbondante succo d’arancia. Cuocere a 180° per circa 1 ora - 1 ora e mezza controllando che il “sughetto” non si asciughi troppo.