Mentre quasi tutto il mondo (food)bloghesco chiude saggiamente per ferie e si prende un meritato riposo da forno, fornelli, scervellamenti su nuove sperimentazioni, allestimenti di set fotografici, ricette da compitare, commenti da moderare e compagnia bella, io, more solito, procedo maldestramente in direzione opposta riprendendo finalmente pieno possesso, oltre che delle mie facoltà mentali (ma su questo non sarei pronta a giurare), soprattutto del piccolo spazio presente, tanto amato.
Che è stato perlopiù abbandonato a se stesso negli ultimi tempi, salvo rare e deliranti eccezioni prontamente denunciate in post dedicati (perché le cose belle, ma anche quelle strane, tipo risvegli notturni, e meno felici, come i pasteggiamenti a camomilla scaduta, vanno condivise).
E siccome alla partenza mancherebbero una ventina di giorni abbondanti e i pasti da mettere insieme sarebbero un bel numero, comprensivo anche di cene e cenette di qui e di là, la grazia di tutto questo tempo libero, tutto insieme, mi dà agio di lanciarmi in spericolati esperimenti e occasione di bearmi perfino di accendere il forno alle due del pomeriggio, col termometro che sfiora i 40° o di passare una mezz’ora buona a rimestare pietanze sul fuoco, magari di ritorno dal mare, dopo adeguato rosolamento.
E soprattutto di farlo sentendomi finalmente felice e soddisfatta.
Appagata di sciogliermi come un ghiacciolo al sole.
Fiera di avvampare davanti a una teglia di pomodori col riso, o di zucchine ripiene, o di melanzane gratinate.
Nel frattempo proseguono (pigramente e a rilento) i preparativi per il viaggio, con due modi di procedere fra quello perpetrato dall’amato bene e il mio, nettamente distinti e separati per entità e velocità di esecuzione. Ma soprattutto per temi prescelti.
Mentre lui, accurato e pragmatico, si prodiga con efficienza militare nel disbrigo di pratiche indispensabili (espletamento eventuale del check-in on line, controllo dello stato dei voli, verifica delle marche da bollo sui passaporti, ecc) senza le quali probabilmente nemmeno potremmo alzarci in volo; io, sciatta e inconcludente, mi sollazzo in questioni perlopiù secondarie ma perfettamente in linea con la mia indole (lievemente) ipocondriaca, (vagamente) ridondante, (un tantino) indecisa e (assolutamente) bradipesca.
E tra una mezza giornata al mare e l’altra mezza trascorsa a gironzolar per bancarelle, continuo la mia personalissima preparazione stilando liste su liste e tirando sacchi interi di monetine per aria nella speranza che mi aiutino a decidere…….(n.b.: il plurale, in molti dei casi che seguono, è puramente maiestatis…)
Scelte da compiere (e cose da fare)
-Profilassi antimalarica si/ profilassi no.
Visto che sarebbe la terza volta (le due precedenti per il Kenya e la Tanzania ), che le stagioni sono invertite rispetto all’emisfero boreale (quindi lì ora è inverno) e che l’unica vera forma di protezione, anche nel caso della profilassi, rimane la prevenzione, cioè evitare, per quanto possibile, di farsi pungere dalla zanzara, e in particolare da quella bastardonaa della Anofele, abbiamo deciso che no, questa volta non la faremo. E quel medicinale dal nome di un boss della camorra, tale Malarone, reperibile solo in Vaticano (o in Svizzera) stavolta rimarrà lì, nei cassetti della farmacia papale (e un centinaio di euro in più nelle nostre tasche). Dopodichè prevedo che scatterà, almeno da parte mia, ogni tipo di manovra fantozziana ad evitare punture e lo scoppio di crisi isteriche a ogni minimo ronzio, con conseguente strage di mosche, moscerini e qualsiasi altro tipo di insetto dotato di ali e facilmente scambiabile.
Ma confidiamosoprattutto nella stagione invernale.
- Quali medicinali portarsi dietro, a parte badilate di antipiretici, secchi di fermenti lattici, una fornitura completa di antibiotico ad ampio spettro (badando che le dosi siano sufficienti per due, non come in Marocco che abbiamo dovuto fare carta vince carta perde per decidere chi dovesse curarsi e chi no, affidandoci a una sorta di selezione naturale che ci ha portati poi a lasciare le scatole intatte per solidarietà…), una vagonata di cerotti, ettolitri di amuchina, scatoloni di compresse per sterilizzare l’acqua, più un antistaminico e un antivomito, quest’ultimo così, tanto per stare più sereni nel caso in cui si dovesse essere colti dal sacro fuoco del virus intestinale (che comunque, fra Dengue, febbre gialla, malaria, tifo e compagnia bella sarebbe pur sempre il male minore… ).
E l’amato bene puntualmente lì, come il grillo parlante della mia coscienza, a ricordarmi che “stiamo recandoci in un paese che purtroppo ha il 40% della popolazione affetta da HIV, forse alloranon è propriamente il caso di andare troppo per il sottile e magari, a parte una saggia dose di prudenza, converrebbe badare piuttosto al sodo della questione, con un filo di realismo e senza troppe paranoie”. …
- Selezionare abiti chiari e a maniche lunghe per le zanzare. Ma questi ultimi anche per il freddo visto che di notte la temperatura in questo periodo scende intorno allo zero e la domanda (sicuramente retorica e gironzolante sempre attorno al medesimo argomento) è: la zanzara sopravvive col freddo? Lei magari no, ma io un maglioncino in più, magari per i 1800 metri di altitudine della terra dei Basotho, per la mia di sopravvivenza, me lo porterei.
- Fare una curetta preventiva di fermenti lattici… “no? Che ne dici amore?” Risposta: “Fa’ come te pare. Io, co tutti i problemi che ce stanno lì, me rifiuto proprio”.
Logica stringente, pensiero chiarissimo. Ma io la faccio lo stesso.
- Iscriversi sul sito della Farnesina “Dove siamo nel mondo” .
Domanda (quasi scandalizzata): “ma pe fa che?!?!” .
Risposta (mia stavolta): “beh, metti che scoppino disordini, calamità naturali, tsunami emotivi e non possiamo comunicare con casa…almeno ci vengono a cercare”.
La controrisposta consiste unicamente in un’alzata di sopracciglio con sguardo di compatimento ma anche di rimprovero per (immagino) sopraggiunto limite di sopportazione.
Decido di farlo lo stesso e magari stavolta iscrivere solo me medesima, che lui mica lo sa che io a quel sito ho iscritto tutti e due ogni volta che siamo usciti fuori dall’Europa, tranne che per andare in America (eviterei di confessarglielo ora per non vedermi recapitare le carte per il divorzio, che prima di partire mi verrebbe scomodo affrontare la questione..)
- Fare una prova su una piccola porzione della (mia) pelle (quella coriacea dell’amato bene è immune da orticarie e dermatiti: chi omo!), per testare l’antizanzare prescelto, rigorosamente a base di permetrina e duranone (che lì, i vari Autan, Off e Vattelapesca da soli, a parte inquinare, non hanno effetto alcuno sul tipo di zanzara evidentemente dotata di controattributi) perché va bene proteggersi dalle zanzare ma se la contropartita è uno shok anafilattico, direi che la sperimentazione è in caso di farla prima. Più che altro per non sentire lui che, mentre magari annaspo e mi ricopro di bolle d’acqua, mi guarda dall’alto della sua imperturbabilità ricordandomi che “me l’aveva detto” “sono sempre la solita” (e chi altri dovrei essere?!), e via dicendo.
- Scegliere con una certa accuratezza e una buona dose di lungimiranza i libri da portarmi dietro. Qualche minaccia, seppur velata, l’ ho già ricevuta e dopo vaghissime allusioni ad alcune (ma poche) scelte infelici, mi è stato chiesto se stavolta avessi intenzione di portarmi dietro magari qualche tomo sul Ku Klux Klan. Uomo di poca fede e di malevoli pensieri.
Pensavo alle Favole africane di Nelson Mandela invece, ma è ancora tutto da decidere e magari lo farò come al solito un attimo prima del check in, prendendo ciò che offre l’edicola all’angolo…e a quel punto ci sarà poco da fare: quel che capita capita!
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È buono appena fatto ma ancora di più dopo qualche ora di riposo. Il pesto, come invece temevo, non appalloccail cous cous e comunque basta sgranarlo con una forchetta che ogni singolo chicco riacquista piena autonomia.Ho voluto provarne uno integrale e penso che d’ora in poi difficilmente l’abbandonerò.
Per cene estive sul terrazzo (o su un micro balcone in 6), rigorosamente a lume di candela.
Ingredienti (per 6)
400 gr di cous cous integrale
500 gr di fagiolini (peso prima di pulirli)
2 patate medie
180 gr di pesto (nel mio caso senza aglio)
50 gr di pinoli
Olio extravergine d’oliva
Sale
Procedimento
Lavare le patate, metterle in una pentola di acqua fredda con tutta la buccia e farle lessare per circa 40 minuti o comunque finché bucandole con uno stecchino non risulteranno morbide ma non spappolate. Farle raffreddare, pelarle e tagliarle a tocchetti piccoli.
In un altro tegame portare a bollore abbondante acqua leggermente salata, quindi tuffarci dentro i fagiolini mondati e lavati e farli lessare al massimo per 20 minuti, dopodichè scolarli conservando la loro acqua di cottura e tagliarli a pezzettini piccoli.
Unire patate e fagiolini e condirli con poco sale (considerando che il pesto pronto ne contiene già di suo) e olio.
Ungere un piccolo padellino con pochissimo olio e farci tostare i pinoli a fuoco basso mescolando di continuo, fino a farli diventare, più o meno, così:
(attenzione perché bruciarli è facilissimo!). Seguire le istruzioni sulla confezione per la preparazione del cous cous, di solito si tratta di:
mettere il cous cous in una ciotola, aggiungervi una noce di burro (nel mio caso 2 cucchiai di olio) più pari volume (non peso: volume, cioè 2 bicchieri di cous cous=2 bicchieri di acqua) di acqua bollente (nel mio caso ho usato l’acqua di cottura dei fagiolini precedentemente messa da parte), coprire e lasciare riposare 6 minuti. Dopodichè sgranare i chicchi e condire con il pesto, mescolando bene, quindi aggiungere le patate, i fagiolini, i pinoli tostati e servire subito.