Da qualche mese ho aperto un account Instagram.
Sì, proprio io che in principio (cioè quando stava quasi per passare di moda…) non volevo nemmeno saperne di Facebook.
E in cui adesso mi destreggio abbastanza baldanzosamente.
È che io sono una tipa che ha bisogno di tempo, per evolversi tecnologicamente.
Whatsappè una conquista ancora più recente, e nemmeno radicata, visto che – udite udite - lo attivo solo quando sono in casa.
E soprattutto quando mi ricordo.
E allora che ce l’hai a fa’? - mi si obietterà.
Per non rimanere indietro! E perché in fondo mi piace pure.
Solo che non mi rassegno ancora a vivere sepolta dalle onde elettromagnetiche se non altrui, perlomeno del mio stesso smartphone.
Allora lo connetto quando non ce l’ho addosso o in borsa, dove lederebbe i granuli omeopatici che mi porto sempre dietro. Accontentandomi di comunicare con preistorici sms e antidiluviane, brevissime, telefonate.
Oppure di optare per un dignitoso silenzio.
Per la verità, da molto più tempo, risulto iscritta pure al rutilante Pintertest (di cui devo ancora comprendere appieno il meccanismo) e a Google+, per forza di cose, ma più semplice e simpatico da usare.
E allora ieri riflettevo sul potenziale enorme di tutta questa roba messa insieme e in particolare di Instagram che, a conti fatti, è quello che mi piace di più.
Oltre a incuriosirmi tanto, soprattutto per la logica che lo sostiene.
Tanto per cominciare bisogna correre.
Scapicollarsi.
Prendere decisioni rapide e spietate, soprattutto in merito alle reazioni basiche (mi piace/ti seguo) che animano ogni nuova immagine pubblicata.
L’alternativa è ignorare. Ma per non essere travolti dall’ansia, è doveroso sapere che, con altrettanta rapidità, è possibile tornare indietro sui propri gusti e sulle proprie scelte, togliendo “like” e “segui” elargiti incautamente in attimi di scarsa lucidità.
Poi ci sono gli hasthag, che se azzecchi quelli giusti (esistono elenchi appositi che aiutano a destreggiarsi fra quelli più gettonati anziché razzolare a casaccio) e ne metti a vagonate, nemmeno il tempo di cliccare su “pubblica” e ti ritrovi sommersa di like.
Forte.
Anche perché poi arrivano da tutto l’universo mondo.
Perfetti sconosciuti da parti lontanissime del globo vedono la tua foto e ti comunicano che gli piace.
Anche se non è vero. Ma valli a smentire.
Ed è bello vedere come la lista dei follower sia animata da un continuo moto fluttuante che ti porta a guadagnarne un tot e il minuto dopo a perderne altrettanti. O anche di più.
Bisogna capire che i seguaci sono tali fino a quando non ti prendi pure tu la briga di andare sul loro profilo ad aggiungerti alla lista dei followers.
E per farlo hai tempo 3, 2, 1…basta, finito, si sono cancellati.
Un po’ come quello che succedeva nel blog quando ancora esistevano i lettori fissi (esseri ormai in rapida estinzione poiché probabilmente emigrati in massa su altri canali e i residui trasformati in preziosi reperti archeologici esposti qui, nella bacheca a fianco), ma molto, molto più rapidamente.
Ecco, per il momento ho capito questo: su Instagram, che tu sia leone o gazzella, appena apri gli occhi al mattino devi correre.
E passare oltre.
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L’ho visto da loro, Anna Luisa e Fabio, da poco reduci da un bellissimo viaggio on the road nel New England, dal quale hanno riportato, oltre a bellissime foto, anche la ricetta di questo meraviglioso dolce americano.
Stranamente light per essere tale. Ma inconfondibilmente speziato.
Senza burro, senza lattosio, perfino senza lievito. Facilissimo da fare e difficilissimo da far durare più di una giornata.
A colpire, oltre all'armonia dei sapori assolutamente bilanciati nonostante la presenza di tante spezie, è l'incredibile sofficità di questo dolce.
Umido, morbidissimo, non si smetterebbe mai di mangiarne.
Anna Luisa aveva ragione: basta assaggiarlo per innamorarsene perdutamente.
Rispetto alla ricetta originale,a parte aver usato uno stampo da plumcake anziché a ciambella, ho apportato solo piccole variazioni relative al tipo di farina e alla quantità di zucchero.
Ingredienti (per uno stampo da plumcake grande)
180 gr di farina di farro
180 gr di zucchero (io di canna)
2 uova medie
200 gr di purea di zucca cotta al vapore
100 ml di olio di riso
5 gr di bicarbonato di sodio
1 cucchiaino di cannella
½ cucchiaino di sale
½ cucchiaino di cardamomo (che io ho omesso perché non lo avevo)
½ cucchiaino di noce moscata
½ cucchiaio di allspice (misto di spezie. Io ne ho trovato uno a base di: cannella, noce moscata, chiodi di garofano, zenzero, finocchio)
½ bacca di vaniglia
Procedimento
Raccogliere la farina setacciata in un largo recipiente insieme allo zucchero, al sale, al bicarbonato, alle spezie e ai semi della bacca di vaniglia.
In un altro recipiente sbattere leggermente le uova, aggiungervi la purea di zucca e a seguire l'olio a filo, continuando a mescolare.
Versare l'impasto a base di uova nel recipiente con la farina e mescolare giusto fino ad ottenere un impasto omogeneo. Versare in uno stampo da plumcake (o anche in uno a ciambella) e cuocere a 180°C per 45 minuti circa, o comunque finché uno stuzzicadenti infilato nel centro del dolce, ne esca pulito.
Fare raffreddare completamente prima di estrarre il pumpkin bread dallo stampo.