Da quando è arrivato in questa casa non c’è più pace.
Gli inquilini della stessa, a parte i due in carne e ossa, nelle persone di me medesima e dell’amato bene, sono tanti e fra i più disparati.
Ci sono anatre e conigli fatti di saggina.
C’è l’uomo ghianda che è un ometto di ceramica seduto su una sedia (per lui) gigantesca.
C’è la signora Du, che reca in mano un mazzolino di coni di incenso.
Ma soprattutto c’è lui, Enjoy, il cane che si rotola e ride come un pazzo non appena gli si passa davanti.
Era lui il vero re della casa, fino a poco tempo fa: in pole position sul bracciolo del divano, dal viaggio di nozze in cui lo abbiamo raccattato all’angolo delle strade a chiedere l’elemosina in un negozio di Chicago, è diventato la mascotte della famiglia tanto da far allarmare perfino i nostri genitori se quando vengono non lo trovano regolarmente al suo posto perché magari è steso ad asciugare.
Fino alla settimana scorsa tutto filava liscio e la convivenza con lui e tutti gli altri strani, ma allegri figuri era ammantata di pace e di armonia.
Poi è arrivato lui:
sto pupazzone alto e secco che mi arriva quasi al bacino, dall’aria stralunata e vagamente inquietante.
Quando l’ho scelto mi piaceva tanto, ma non potevo immaginare che presto sarebbe diventato il mio incubo.
Tutto è nato la mattina in cui l’amato bene, uscito come al solito sul fare dell’alba per andare al lavoro, me lo ha fatto trovare di spalle, bardato a mo’ di fantasma, con una veste lunga (per la precisione un mio foulard) strisciante sul pavimento.
Ora.
La casa al mattino alle sette, quando mi alzo anche io, è immersa, oltre che nel buio, anche nel silenzio più completi.
Le tende pesanti ancora tirate, non si sentono macchine, le case intorno disabitate ed io che scendo a fare colazione cerco di fare la vaga facendo anche più rumore possibile per darmi un tono e un contegno.
In questo scenario, trovarmi ai piedi delle scale lo spilungone abbigliato con la palandrana fino ai piedi mi ha fatto iniziare la giornata, oltre che con il rischio serio di una crisi apoplettica, con lunghi e articolati smadonnamenti.
Indecisa se correre nuovamente su in camera, sbarrarmi la porta alle spalle e chiamare l’amato bene intimandogli di riprendere subito il treno e venirmi a togliere l’immagine horror dal salotto o, più dignitosamente, farmi coraggio, avanzare stoica e buttarlo nel secchio dell’indifferenziata una volta per tutte.
Da quel giorno sono iniziate vendette trasversali di vario tipo.
Infruttuose perlopiù.
Perché io continuo a trovarmelo davanti in tutte le guise.
Che poi la cosa più inquietante di tutta la faccenda (ora che mi aspetto di trovarmelo puntualmente di fronte) è spogliarlo, fargli riassumere le naturali fattezze e ricollocarlo al suo posto.
Un fantoccio, una bambola voodoo: per me che compio quelle operazioni in quel momento assume le sembianze della cosa più raccapricciante e terrorizzante sia possibile immaginare.
Ma ho commesso l’errore, ahimè, di confidare all’amato bene il mio terrore di quel primo giorno.…istigandolo a fare sempre, sempre peggio.
Comincio seriamente a pentirmi di averlo mai voluto comprare.
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Questa ricetta l’ho avuta dalla mia amica Eva, che a sua volta l’ha trovata in rete. Un risotto particolare e dal gusto sorprendente, che molto dipenderà dal grado di maturazione della melagrana. Assaggiatela prima e comunque prendetene una ben matura, con i chicchi color rosso rubino e non rosa sbiadito. Se è molto grande e rilascerà un bicchiere intero di succo, procedete con cautela: mettetene prima solo metà nel risotto, assaggiate e regolatevi di conseguenza. Il risultato, con una melagrana non perfettamente matura è di asprezza estrema, molto più marcata di un risotto al limone, per dire. Viceversa, l’armonia sarà perfetta e il sapore piacevolmente dolciastro e delicato. L’ho provato due volte di seguito perché la prima, avendo usato una melagrana “farlocca”, non mi aveva convinta, non poteva essere così deludente! Infatti, al secondo tentativo mi sono prontamente ricreduta…
Ingredienti (per 2)
200 gr di riso carnaroli
1 porro ( se è molto grande, va bene anche ¾)
1 melagrana
½ bicchiere di vino bianco
Brodo vegetale (io ho usato un dado biologico senza glutammato)
Parmigiano
Olio extravergine d’oliva
Sale
Pepe
Procedimento
Predisporre innanzitutto un brodo vegetale per fare il risotto. Tagliare a metà la melagrana, sgranarne i chicchi e lasciarne da parte una manciata per la decorazione finale. Passare il resto nel passaverdure e ricavarne il succo. Eliminare il ciuffo, la parte verde e lo strato più esterno del porro, quindi tagliarlo a rondelle sottili e farlo stufare in una padella con poco olio e un mestolo di brodo per una decina di minuti. Aggiustare di sale, trasferirlo in un contenitore dai bordi alti e frullarlo con il minipimer.
Far tostare il riso in poco olio mescolando spesso, sfumare con il vino e lasciarlo evaporare, dopodiché proseguire la cottura del riso aggiungendo progressivamente il brodo un mestolo alla volta finché non si sarà assorbito il precedente. N.B.: mescolando spesso il riso rilascia tutto il suo amido e si avrà un risultato molto cremoso; mescolando di rado i chicchi rimarranno più sgranati.
Trascorsi i primi dieci minuti di cottura unire la crema di porri e mescolare, quindi aggiungere il succo di melagrana e portare a termine la cottura.
A fuoco spento mantecare con il parmigiano (io non uso il burro, ma per chi non è contrario: aggiungerne dei fiocchetti in questa fase) e servire con i chicchi di melagrana lasciati da parte e una spolverata di pepe nero macinato al momento.