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Channel: Pizza Fichi e Zighinì
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Sentito dire – Pasta finocchi e ‘nduja

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Non sempre sono dolori.
Qualche volta riservano anche piccole gioie.
Soddisfazioni intime.
Momenti di cabaret, degni di Zelig, offerti gratuitamente così, senza nemmeno dover passare dal botteghino a pagare il biglietto
(per quello basta comunque già l’abbonamento mensile: l’onerosa prova cartacea con cui ti si appiccica addosso, concretamente e idealmente, una volta per tutte, l’etichetta di pendolare.
E tu, da quel momento in poi, prendi a considerare il treno come una tua naturale appendice.
Una propaggine del tuo io.
Un che di inscindibile dalla tua persona.
Al pari del colore dei capelli o del taglio degli occhi, a formare una creatura mitologica metà persona metà treno).
I viaggi quotidiani in treno, di quella cospicua parte di fauna umana assimilabile alla razza (tutta a parte) dei pendolari (quelli autentici però: gagliardi, vaccinati, cazzuti, abituati a scioperi e ritardi, soppressioni di corsa e cambi binario dell’ultimo secondo; viaggi sempre in piedi e inscatolamenti in vagoni stipati all’inverosimile, dove la necessità più urgente è innanzitutto riuscire a salire, poi quella immediatamente successiva è ritagliarsi una bolla di ossigeno disponibile dove puntare il naso almeno fino alla prossima fermata in cui necessariamente, anche se non dovrà scendere né salire alcuno, verrà compassionevolemente aperta la porta per garantire un’altra, vitalissima boccata d’ossigeno e via, tutti pronti per una nuova apnea!) a fronte di disagi e smadonnamenti, medaglie al valore conquistate sul campo e sessioni di occupazione binari per protestare giusto un pochetto, qualche volta strappano sorrisi e riflessioni tragicomiche per accadimenti tra l’incredibile e l’esilarante.
Merito della presenza di spirito di alcune persone (sante subito!) che la voglia di scherzare non la perdono nemmeno in frangenti simili.
O della naturale ignoranza di altre che dispensano perle di saggezza tali da far sbottare in accessi di riso poco signorili ma tanto spontanei.
E soprattutto inevitabili.
C’è quello che, all’ennesima fermata brusca del convoglio, nell’impossibilità di cadere dato l’ammasso informe di corpi puntellati uno sull’altro, ma speranzoso evidentemente di stringere nuove amicizie lancia lì la più classica delle battute:
 “Aò poi dice che in treno nascono gli amori…te credo, guarda come stamo messi!!
C’è il tizio che la battuta se la riserva per quando si scende, tutti insieme, anche lì gomito a gomito, vicini vicini, in processione mistica per aggirare i lavori in corso di un sottopassaggio in costruzione da una vita che costringe a fare la fila per uscire dalla stazione (alla fioca luce dell’unico lampione ancora miracolosamente funzionante), guadando rivoletti di tratti allagati e schivando sgocciolamenti di solai appena rifatti (eh sì, le difficoltà mica finiscono all’arrivo a destinazione, signori!), in una sorta di corso di ardimento che i Marines americani se lo sognano!
Ebbene il tizio di cui sopra, sfilando davanti all’ultimo vagone del treno, privo di illuminazione per uno dei soliti guasti, indicandone gli occupanti che poracci manco il diversivo della lettura si sono potuti concedere stasera, urla divertito:
Anvedi quelli ar buio che figo: c’hanno aa sala firm come su Italo!!!
E infine c’è la situazione numero 3, un fatto realmente accaduto che tengo a riportare pari pari per sincerarmi ancora una volta di averlo udito con queste orecchie e poi per mettere in guardia tutti i possibili turisti che volessero, da Civitavecchia, arrivare in treno a visitare Roma.
Gruppo di italiani, uomini e donne, appena sbarcato (a Civitavecchia) da una nave da crociera MSC, particolare questo evidente dall’aria ancora festosa, abbronzata, mezzo addormentata, ma soprattutto dai trolley contrassegnati col marchio della nave e il numero della cabina in bella mostra. 
Composizione mista, dialetti vari, amori e amicizie appena sbocciati con le promesse di mantenerli e tutti i più nobili propositi a riguardo.
Fermi alla stazione di Roma San Pietro, con la sommità del Cupolone che si staglia netta e bellissima nel riquadro del finestrino, frotte di gente che scendono (e che dovrebbero già mettere sull’avviso, perlomeno chiedendosi: ‘ndo vanno tutti questi?), masnade di persone che aspettano sui binari circostanti armati quasi esclusivamente di Routard e Lonely Planet con il nome della città eterna scritto in tutte le lingue e gli alfabeti del mondo, annunci continui dall’altoparlante sul fatto che si tratti proprio di ROMA SAN PIETRO (casomai fosse sfuggito alla vista qualcuno dei diecimila cartelli sparsi un po’ ovunque).
Un uomo (il più scaltro probabilmente) del gruppo, dall’accento emiliano, a un certo punto ha un’illuminazione e timidamente chiede a una delle sue nuove amiche, romane o comunque degli immediati dintorni della capitale:
Ma questa è proprio san pietro-san pietro? Non ho capito perché noi dobbiamo arrivare a Termini: non possiamo scendere qua per visitare un po’ Roma fino a stasera?
E la più saggia del settore femminile del gruppo, quasi scandalizzata:
Nooooo mica è san pietro ner senzo de “Piazza san Pietro”!!!”
Mi faccio più attenta. Dove ho viaggiato finora in tutti questi anni di treno?!
Cosa mi sono persa? Dove sono?!
(immagine presa dal web)
Poi la rivelazione: “Questo è un paesino tra Civitavecchia e Roma Termini che se chiama così, ma pe vedè Roma voi dovete scende propio a Roma Termini, che è la stazione centrale, er centro de tutto: lasciate i bagaji e ve fate un bel giro per vedè tutto quanto! E poi da lì arivate pure alla vera san Pietro!”.
E io che ho sempre cercato, ammirata, l’immagine di quella grande cupola dal finestrino!!!!
Ammazza gajardo però deve essere sto paesino fra Civitavecchia e Roma!
Se richiama tutti questi turisti.
Se ha questo nome così altisonante e che potrebbe anche trarre in inganno!
Se dispone di una riproduzione evidentemente in mattoncini Lego, o magari solo mirabilmente proiettata 24 h, del più famoso monumento capitolino!
Avrei voluto approfondire e chiedere maggiori lumi, intervistare la signora e saperne di più, invitarla a condividere e a diffondere la notizia, che certe chicche non si possono tenere per sè….ma poi, ho pensato, sarebbe stato un vero peccato compromettere sul nascere una così bella e utilissima amicizia appena sbocciata!!!!!

Messaggio per l'Amato bene, che legge:
Ho pensato che l'America in fondo è troppo vicina. La Nuova Zelanda sarebbe perfetta...ma Alfa Centauri ancora meglio!!

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Da fare velocemente mentre bolle l’acqua.
Una ‘nduja fenomenale, piccantissima, frutto di un giretto in solitaria da Eataly, fra meraviglie e preziosità.
L’accoppiata col finocchio serve a stemperare e fare da contrappunto a un sapore che di suo è veramente travolgente.
Io ho usato pasta integrale: con quella classica forse è ancora meglio.
Non trascurate la mantecatura con il parmigiano!

Ingredienti (per 2)
180 gr di fusilli integrali
1 finocchio
1 cucchiaino colmo di ‘nduja
1 scalogno
Olio extravergine d’oliva
Sale
Parmigiano grattugiato

Procedimento
Mettere a bollire una pentola d’acqua salata. Nel frattempo pulire e lavare il finocchio, quindi tagliarlo a striscioline sottili e poi a pezzetti più piccoli.
In una larga padella mettere a soffriggere leggermente, in poco olio, lo scalogno tritato.
Non appena accennerà a sfrigolare unire i finocchi e farli andare una decina di minuti a fuoco moderato girando ogni tanto 
e aggiungendo un mestolino di acqua calda, se occorre.
Aggiungere quindi la ‘nduia e farla sciogliere mescolando ed eventualmente allungando con poca acqua, sempre calda.
Cuocere la pasta, scolarla al dente e unirla al condimento facendola saltare e insaporire velocemente.
Terminare mantecando con il parmigiano fuori dal fuoco.




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