Abbiamo lasciato passare ben due anni dall’ultima volta.
Che non è operazione da compiersi con tanta leggerezza d’animo.
Ci vogliono consapevolezza profonda e adeguata preparazione, fisica e mentale.
La giusta disposizione d’animo che parte dalle due settimane precedenti e si esplica innanzitutto eleggendo la giornata dedicata.
E poi avendo cura di sgomberarla da ogni altro eventuale impegno.
Perché la faccenda assorbe tutte per intero le proprie energie.
Almeno per come la intendiamo noi, mamma ed io.
Che a casa nostra non si frigge mai, ma quando ci si mette lo si fa prima di tutto rigorosamente insieme e poi per una mattinata intera e in quantitativi da caserma.
Inebriate dai fumi della frittura, stordite dai vapori dell’alchermes e della Strega (o della grappa o del rum) nell’impasto, impregnate fino al midollo di quell’inconfondibile odore di cucina che si appiccica su pelle, capelli, vestiti, mattonelle e suppellettili.
In una sorta di ritiro spirituale dove non c’è più spazio per niente e nessuno.
Gli uomini men che meno.
Cosicché: l’amato bene è al lavoro, l’adorato fratello pure e il povero papà viene spedito in giro con una interminabile lista di commissioni alla mano (alcune anche volutamente impossibili da sbrigare…) che lo tenga fuori per buona parte della mattinata e anche oltre.
Sennò chi li sentirebbe, loro? (c’è puzza di fritto, senti che robbba, non se ne può più, ma quante ne dovete fa’?....salvo poi essere i primi, insaziabili divoratori di questi dolcetti).
Ma fare le castagnole ha un che di terapeutico e di studiatatissima efficacia.
Non ci si mette lì “per farne un po’” (non varrebbe la pena, penseremmo).
E poco importa che in famiglia, ognuno per motivi suoi, non le mangia quasi nessuno
( mia madre è diabetica e al massimo ne assaggia un paio mentre frigge. Mio padre segue un regime alimentare tutto suo e nemmeno le assaggia perché “una non mi basterebbe, allora preferisco niente!”; l’amato bene non le ama particolarmente, io mi sforzo di tenermene alla larga e regolarmi con gli assaggi…in pratica l’unico che ci si butta a capofitto chiedendone vassoi interi da condividere pure al lavoro è l’adorato fratello).
Il bello e lo scopo principe di tutta la questione è unicamente: distribuirle in giro!
A chi le apprezza e le ama, ce le chiede di anno in anno e le aspetta con ansia.
Perlopiù bambini, ma anche grandi.
E allora sono spianate di vassoi, rotoli di carta argentata per coprirle, viaggi a destra e a manca per consegnarle (anche fino a Roma!).
E soddisfazione purissima per il solo atto di farle.
Attenendosi a regole molto precise e reiterando gesti tramandati negli anni!
Innanzitutto il luogo deputato: che deve essere ampio, spazioso, arieggiato.
E difatti non si frigge a casa mia, ma da mamma.
Che dispone di una cucina vera e di tante finestre da poter spalancare.
Poi l’abbigliamento: comodo, pratico, da mettere a lavare subito dopo, a meno di non voler dismettere le sembianze di un cartoccio di patatine.
I rituali di preparazione
e un rigido protocollo da seguire:
impastare energicamente
formare salsicciotti da cui ritagliare gnocchetti,
ARROTOLARLI UNO PER UNO che chè sei matta a fare castagnole una diversa dall’altra e soprattutto informi?!
Tutte uguali e perfettamente rotondeggianti devono essere! (ma per questa ossessione declino ogni responsabilità: fosse per me le butterei in padella così come vengono..);
e nell’attesa di ultimare gnocchetti e salsicciotti, coprire amorevolmente l’impasto perché non prenda aria...
Quindi portare l’olio a temperatura e avere cura che quella rimanga costante.
Buttarci dentro poche castagnole alla volta per non abbassare la temperatura dell’olio,
rigirandole costantemente e con amore perché cuociano in modo uniforme e non si brucino (pure se l’amore generosamente profuso, alla diciottesima calata di dolcetti da friggere potrebbe cominciare a trasformarsi in qualcosa di molto simile al suo contrario…);
tirarle su con la schiumarola dopo pochi minuti e metterle premurosamente a scolare l’olio in eccesso su carta assorbente;
disporle nel vassoio predisposto per essere innaffiate di alchermes, quindi in quello deputato a ricoprirle di zucchero
e solo allora, collocarle nelle apposite, innumerevoli tegliette da asporto pronte da consegnare…..
Nulla è lasciato al caso,
ogni gesto è profondamente studiato.
E vista l’altissima concentrazione che richiede, la manualità che esige, l’attrazione che esercita dall’impasto crudo al dolcetto appena fritto, la forza di volontà che impone per non cedere ai suoi richiami….state pur certe che più di un pensiero, per quella mattinata lì, vi sarà scivolato via dalla testa che manco ve ne sarete accorte.
Va da sé che il rituale impone pure, perlomeno, di assaggiare le castagnole in ognuna delle fasi di lavorazione, con l’unica controindicazione che appena scolate e senza manco essere passate per la fase dell'alchermes e quella dello zucchero….creano dipendenza: non ci sono santi!
Per la nostra ricetta supercollaudata vi rimando QUI
Per la versione di TizianaQUI
Per qualcosa di più light e meno impegnativoQUI
E buona meditazione!