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Channel: Pizza Fichi e Zighinì
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Le disavventure dei miei viaggi

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Pensavo di averne giusto un paio da raccontare e, rigorosamente, in ordine cronologico inverso dalla più recente, accaduta giusto giusto a capodanno.
Poi però come al solito ho chiesto aiuto alla memoria elefantiaca dell’amato bene che me ne ha snocciolate una decina almeno, da quelle veniali alle cose che di comune accordo avevamo deciso di non rivelare mai a nessuno, nemmeno sotto tortura, rimuovendole e archiviandole come segreti di famiglia…
Ma il limite (fortunatamente) posto da Monicaè sempre di 3, dunque la scelta è caduta sulle seguenti con buona pace della reputazione…




Capodanno 2014, ultima tappa della nostra mini vacanza a zonzo per Umbria e Marche, sera inoltrata, albergo molto carino.
Mi infilo in bagno ma mi accorgo che la porta non funziona: non si chiude. La maniglia, almeno dall’interno, gira a vuoto. Chiamo in soccorso l’amato bene che, come al solito pensa sia una delle solite incapacità della sottoscritta e, da consumato risolutore di ogni sorta di problema quale si ritiene, arriva bofonchiando un infastidito “Come non si chiude?”.
 Mi scansa con un fierissimo “lascia fare a me” e, non prima di essere entrato furbescamente nel bagno pure lui, con un colpo secco (per la precisione una spallata) chiude, ermeticamente e definitivamente, la famigerata porta.
Lo guardo incredula: “Grazie!Così ero capace pure io!” iniziando a interrogarmi, subito dopo, sul modo di riaprirla.
si è incastrata?” azzarda lui.
Ma va?!” lo fulmino io.
E noi (tutti e due) prigionieri nel bagno dell’ albergo.
 I cellulari di là, una finestrella inutilizzabile perché semimurata e inaccessibile, la porta sigillata senza speranza.
Superato il lieve disappunto iniziale cominciano le trattative
-Smontiamo lo stipite (ma per le porte degli alberghi si rivela inutile)
-Spacchiamo la finestra e gridiamo aiuto (io ste figure non le faccio)
-Cominciamo a battere forsennatamente sulla porta sempre gridando: prima o poi qualcuno ci sentirà (nemmeno queste di figure sono disposto a fare..)
-Dormiamo sul pavimento e domani ci troveranno le donne delle pulizie (sì, magari a mezzogiorno, magari ci sorprende il terremoto e finiamo pure sui giornali)
Poi ci viene in mente il campanello di allarme nella doccia: la nostra ultima speranza. Lo tiriamo senza sosta convinti che non funzioni perché il fetente non emette il minimo sibilo, ma evidentemente l’allarme è collegato direttamente con la portineria perché poco dopo sentiamo squillare il telefono della camera.
Peccato che non possiamo rispondere….
Proseguiamo così per qualche minuto: noi a tirare il campanello, la portineria a telefonarci.
Finchè l’addetto non realizza che “forse” in quella camera all’ultimo piano c’è bisogno di un intervento diretto....
Mentre seduti su water e bidet preghiamo a mani giunte che il tizio si decida a venire a verificare di persona, il mio eroe si lancia in una considerazione di tutto rispetto: “e mo come glielo spieghiamo a questo che siamo rimasti ENTRAMBI chiusi nel bagno? No perché in effetti a raccontarlo è un po’ strano…
Ma eludo la domanda per non infierire.
Dopo una manciata di secondi sentiamo bussare alla porta.
E a quel punto la confessione è d'obbligo e dobbiamo pure urlarla, per superare le due barriere: “Ci sente? No…è che…siamo rimasti chiusi nel bagno…tutti e due…la porta non funziona
E per nostra fortuna scopriamo subito che abbiamo beccato il più sveglio dei portieri d’albergo il quale, in un batter d’occhio, ci fornisce la soluzione illuminante, suggerendo tutto fiero:
Deve girare la maniglia!!!!
L’amato bene comincia, lievemente, ad alterarsi: "NON FUNZIONA, NON FUN-ZIO-NA!"
Il tizio finalmente capisce (più o meno: gli rimarrà sempre il dubbio di come si sia finiti tutti e due lì dentro), corre giù a prendere il passpartout e risale a liberarci, trovandosi davanti lo spettacolo di due articoli che, viola dalla vergogna, occhi bassi, risolini trattenuti, lo ringraziano sentitamente...
Commento dell’amato bene: “beh, se non altro non può aver pensato che fossimo impegnati in chissà quale strano gioco, considerato l’abbigliamento ad alto tasso erotico"
Io: pigiama della carica dei 101, calzettone antistupro a pois, ciabatta di spugna
Lui: un decorosissimo jeans sdrucito e un pacioso, tricottato maglione da boscaiolo
No, decisamente una conclusione del genere, perlomeno non può averla tratta.

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Viaggio in Sudafrica, 4000 km totali percorsi a bordo di un’auto a noleggio, senza cambio automatico e con il non trascurabile dettaglio della guida a sinistra, senza mai farle nemmeno un graffio, senza incorrere in incidenti o tamponamenti di alcun genere, nemmeno sui tratti sterrati del Kruger, nemmeno sul trafficatissimo “raccordo anulare” intorno a Johannesburg, Pretoria e Durban.
Tutto liscio, tutto perfetto, anche perché non ce lo eravamo detto, ma una sottile paura inconfessabile albergava nei nostri cuori: sì che la ditta di autonoleggio ci aveva fornito una lista di numeri di telefono da chiamare in caso di necessità, con la raccomandazione di non fare niente, non spostare la macchina in caso di sinistro, non prendere iniziative, ma lasciar fare all’addetto che sarebbe arrivato in un attimo ovunque ci fossimo trovati (pena l’annullamento di tutte le coperture assicurative), ma come avremmo spiegato, per telefono, all’addetto di turno, nel nostro inglese stentatissimo, le eventuali necessità?!
Perché un conto è di persona, che un po’ a parole un po’ a gesti, alla fine ci si capisce, tutt’altra storia imbastire un discorso abbastanza fluente per telefono.
Fortunatamente non è mai stato necessario ed è con questa fierezza nell’animo e un piccolo sospiro di sollievo che varchiamo, tutti orgogliosi, la soglia dell’immenso parcheggio per la riconsegna della macchina nei sotterranei dell’aeroporto.
Attendiamo con fiducia il nostro turno, in coda ad altre 5-6 macchine, ridendo e scherzando.
Finalmente tocca a noi e tre tizi in giubbotto catarifrangente cominciano ad agitarsi e a gesticolare indicandoci altrettanti parcheggi
“di qua o di là?”
Nella confusione, l’amato bene prende l’iniziativa e decide di seguire quella che gli pare l’indicazione più gettonata da 2 su 3 degli addetti.
 Sterza, pigia lievemente sull’acceleratore e…va dritto verso una enorme colonna di cemento, impossibile da ignorare.
La prende in pieno.
 Abbozzando paraurti e parafango, tutto in un attimo.
Ci guardiamo allibiti. I tizi davanti alla macchina muti pure loro (e menomale che ha preso la colonna e non l’addetto più vicino!)
Un guizzare di sguardi increduli prende a scorrere tra noi e loro.
Ma la parte più frustrante e degna della commedia più surreale è la compilazione del modulo per l’assicurazione, con l’indicazione delle modalità dell’incidente:
dove è avvenuto
a che velocità andavamo
i danni riportati
ma soprattutto….i chilometri percorsi in precedenza!!!!!

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2 gennaio 2010, ore 2.30 del mattino, volo per Washington prenotato 8 mesi prima e svariate altri voli interni e biglietti ferroviari già acquistati per un viaggio itinerante che prevede spostamenti continui e coincidenze al millesimo di secondo, con ritorno finale da Chicago.
 In partenza da casa per l’aeroporto di Fiumicino: mio fratello il fortunato prescelto per accompagnarci.
Non ti preoccupare, passiamo a prenderti noi con la nostra macchina così poi tu, tornando indietro la porti davanti casa di mamma e papà e nei 20 giorni in cui manchiamo gli potete dare un’occhiata ogni tanto”.
Tutto organizzato, tutto pronto.
Carichiamo i trolley, gli zaini, controlliamo per l’ennesima volta visti e passaporti, allacciamo le cinture e…la macchina non parte. 
Morta, stecchita, non dà segni di vita.
Panico immediatamente ricacciato indietro da due (ancora) lucide considerazioni:
A.     siamo ancora in perfetto orario
B.     possiamo chiamare Dario dicendo di venirci a prendere lui con la macchina di mamma e papà
Passano i minuti, cominciamo a superare la linea rossa del ritardo, goccioline di sudore imperlano le nostre fronti nonostante il freddo, ma Dario non si vede.
L’amato bene lo richiama: “’mbè?
Eh niente, non parte nemmeno questa, è andata giù la batteria, vengo a prendervi con la mia e incrociamo forte le dita!
Ed è così che, in una freddissima notte d’inverno,  due massicce sagome maschili sui sedili anteriori, una mingherlina femminile su quello posteriore, schiacciata sul finestrino per lasciar posto ai due trolley, gli zaini sulle gambe, i giubbotti contro il lunotto posteriore, sfrecciano (si fa per dire) sull’autostrada a bordo di una rombante Uno Fire con portabagagli inutilizzabile causa impianto a gas.
Piccola, scassata e arrugginita sì, ma intanto l’unica che sia partita al primo colpo…altro che suv e monovolumi con centraline elettroniche!



..Con queste drammatiche confessioni partecipo alla rubrica mensile Il senso dei miei viaggidel blog Viaggi e Baci.

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