Invitare a cena Gabriele significa dare sfogo a tutte le più riposte perversioni in tema gastronomico.
Abbattere ogni più tenace tabù culinario.
Sconfinare verso lidi di indicibile peccaminosità.
E mentre per tutti i giorni della settimana, compresi quelli prima e dopo le feste comandate, si sta attenti a bilanciare i nutrimenti, soppesare le calorie, bandire i grassi, soffocare sul nascere ogni velleità cibaria che sconfini nell'anche-solo-vagamente-poco-sano, quando c’è lui ogni regola viene abbattuta.
Cadono le difese.
Si rompono gli indugi.
Sprofondano gli argini.
Così, in un crescendo di grassi esclusivamente saturi e contenuti ricercatamente ipercolesterolemizzanti, s’è partiti timidamente col furbissimo pollo semifritto dell’Arabafelice(spacciato indebitamente per fettina panata proprio a lui che della materia è un fine purista - ma ha apprezzato-), transitando, poco più audacemente per un quarto di cinghialeda lui medesimo fornito, fino ad arrivare alle vette di una leggerissima, quasi evanescenteamatricianaold stylecondita solo di puro e autentico grasso di guanciale come gusto e tradizione comandano.
E io, fanatica della mia cucina senza grassi-senza burro-senza niente, fautrice dell’utilizzo esclusivo dell’olio extravergine d’oliva e nemica giurata di ogni vago accenno a un grasso minimamente diverso, in questi piatti robusti e corposi non mi ero, prima del suo arrivo ormai abituale in casa nostra, mai cimentata.
Tanto che l’amato bene, fierissimo trasteverino da sette generazioni, ne aveva ben donde di dirmi che forse era il caso che prima di lanciarmi in sofismi e arzigololamenti speziati e orientaleggianti imparassi a cucinare le basi, l’Abc, le fondamenta della vera cucina romana.
La quale, bontà mia, conosco davvero poco o niente.
Stavolta quindi, a sostegno della necessità di intraprendere seriamente approfonditi studi in materia, Lui aveva richiesto la pasta alla carbonara.
Nientedimeno.
Che ce vo?
Ma si sa invece che i piatti più insidiosi sono proprio quelli apparentemente più facili...
Difatti, dopo aver tentato inutilmente di svignarmela, convincendo l'irremovibile amato bene a ripiegare su quella famosa versione light e ben riuscita della pasta in questione, mi sono messa di buona lena a cercare, studiare, informarmi, apprendere, rubare segreti, carpire trucchetti.
Trovandomi davanti una marea di versioni, ognuna ovviamente spacciata per quella “autentica”.
Con sottigliezze apparentemente di pochissimo conto come:
- guanciale o pancetta (è nell'amatriciana che ci vuole esclusivamente il guanciale, ma provate a vedere se per la carbonara esiste uguale certezza assoluta…)
- cipolla sì/cipolla no
- quanti tuorli e quante uova intere
Un’unica certezza mi derivava dalle scarsissime esperienze passate: no panna e no latte, la cremina si fa solo con uova e pecorino, tutto lì.
Peccato per un piccolo dettaglio: me non piacciono le uova.
Non ne sopporto l’odore, mi stomaca vederne l’albume (che mi fa pensare a una gallina col raffreddore), a malapena tollero la vista di una frittata che mangio solo se bruciacchiata, a riprova che l’uovo sia stracotto, neutralizzato, quasi evaporato.
Come si può dunque cucinare una cosa partendo dal presupposto che se ne aborrisca proprio l' ingrediente principale?
Come se dicessi: domani cucino la trippa e la sola vista di quella pezza bianca e porosa mi faccia tremar le gambe.
Ecco a me questo effetto non lo fa la trippa ma lo fanno le uova utilizzate crude.
E nella carbonara si sa, sta tutto lì: nella velocità con cui si amalgamano la pasta appena scolata, la pancetta appena rosolata, il pepe appena macinato, con tutto quell’odore, inconfondibilmente marcescente di uovo (che deve rapprendersi appena e solo con l'ausilio del calore della pasta...quindi crudo, dai, parlamose chiaro!), che sale su dal fondo del tegame.
Morale? M’è venuta una schifezza.
Almeno per gli standard cui ambiziosamente tendevo e tutte le mie aspettative e i buonissimi propositi.
Eppure ce l’avevo messa tutta.
L'aspetto poi non era nemmeno così negativo
Ma è bastato il tempo di impiattarla per farla rinsecchire un po', asciugare troppo e tutto il resto era slegato: i sapori distanti, l'armonia del piatto persa nei meandri di tutte le elucubrazioni per realizzarlo....
Troppo tecnicismo e poco cuore forse.
Sta di fatto che, in ogni caso,se la so' magnata lo stesso.
Ma ora è una sfida aperta. Che prima o poi vincerò (stay tuned), a costo di andare a lezione da un romano verace per farmela insegnare (sempre perchè le cose io per bene o...).
La cena in questione, comunque, ha dato come frutti meravigliosamente graditi i doni in natura con cui si è presentato l'ospite di riguardo, Gabriele per l'appunto:
-3 bellissime penne di fagiano per la sottoscritta come ricordo di una battuta di caccia
E qui proprio tanto, tantissimo cuore, puro amore e assoluta dedizione nel cucinarla...per un risultato che parlava da solo: altro che carbonara!!!
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Dice che le due regole fondamentali per gustare bene il pesce (a parte che sia fresco, meglio ancora se appena pescato…) siano: lavarlo bene e cuocerlo poco.
Io ne aggiungerei una terza, che è quella di condirlo pochissimo, quasi niente, per non confonderne il sapore, perché questo esploda nelle narici e poi in bocca all’apertura del cartoccio e quando si assapora il primo boccone.
Un’estasi, una poesia: il mare dentro!
Ingredienti (per 2 persone)
1 ricciola freschissima di circa 7-800 gr
1 rametto di rosmarino
1 spicchio d’aglio piccolo
1 fettina di limone (ovviamente bio) con tutta la buccia
Un accenno di sale
Un accenno di pepe
Un filo d’olio extravergine d’oliva
Procedimento
Praticare sulla ricciola un taglio lungo la pancia partendo dalla base della testa: eviscerarla con cura e sciacquarla sotto l’acqua corrente, quindi metterla per qualche minuto a scolare “a pancia in giù”.
Nel frattempo lavare il rametto di rosmarino, sbucciare lo spicchio d’aglio e dividerlo a metà, scegliere la teglia in cui sistemarla e accendere il forno a 180°.
Tamponare leggermente la ricciola con della carta da cucina e praticarle 2-3 taglietti trasversali su un fianco, condirla all’interno con il sale, il pepe, l’aglio, il rametto di rosmarino e la fetta di limone.
Sistemarla su un rettangolo di carta forno, cospargerla con un filo (ma proprio un filo) d’olio, coprirla con un altro rettangolo di carta forno e chiuderla alle due estremità come se fosse una caramella.
Cuocere in forno per 20-25 minuti al massimo, non di più.