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Amore è...dormire abbracciati in un letto di fango... |
E niente, un discorso lineare e compiuto non esce, un racconto dettagliato di cosa-come-quandoproprio non mi si articola (ancora) nel cervello: le emozioni si affastellano una sull’altra premendo confusamente senza riuscire a districarsi.
Il fatto è che in Africa niente è semplice.
Nel bene e nel male.
O forse non siamo abituati a lasciar parlare la natura, a prendere a piene mani tutto l’impeto della sua voce: i suoni sconosciuti, i silenzi che rimbombano, il vento implacabile, la pioggia torrenziale, il sole che acceca, il freddo pungente della notte.
Tutto insieme, tutto nello stesso giorno, tutto nel volgere lento delle ore.
Estremi da cui si è sopraffatti, abituati come siamo alle placide vie di mezzo.
Come per esempio a poter godere di un tramonto tutto il tempo necessario ad assaporarlo.
In Africa i tramonti,
così come le albe,
sono infuocati,
abbacinanti,
travolgenti,
ma durano lo spazio di uno scatto.
Il cielo comincia a cambiare colore già dopo le 3 del pomeriggio, le tonalità si fanno più tenui,
l’ocra abbraccia ogni cosa,
il caldo attenua la sua morsa, l’aria diventa più respirabile e una lieve brezza anticipa le temperature rigide della notte.
Poi la palla di fuoco diventa rossa. E in mezz’ora è tutto finito, il buio inghiotte tutto.
Al mattino il contrario: timide pennellate di rosa a fendere l’orizzonte e un attimo dopo la palla di fuoco a squarciarne il velo.
Gli zulu chiamano la parte del giorno che precede l’alba “uvivi”, che significa “oscurità prima dell’alba”. E nel sottobosco dello Zululand il buio si fa ancora più intenso proprio poco prima che all’orizzonte si affaccino i primi brandelli di luce.
In Africa il buio è un muro spesso e denso, che fa male agli occhi e genera inquietudine. Nessuna piccolissima luce a interromperlo, specie in quei campi-base in cui anche il generatore di corrente viene spento alle 10 di sera e riacceso solo il mattino successivo.
Difficile, all’inizio, digerire la mancanza di luce.
Pensi a questioni pratiche (devo farmi la doccia, lavarmi i denti, mettermi a letto prima che tolgano la luce), rimani abbarbicato alle tue abitudini da animale di città.
Ma dura poco, perché già dal secondo giorno quell’assoluta oscurità ti diventa amica, ti schiude le sue porte, ti affida in ottime mani, lasciandoti con l’unica, meravigliosa compagnia di un tappeto di stelle infinito e prorompente, specie nelle notti senza luna, in cui ti sembra quasi di esserne schiacciato, di poter agguantare a manciate tutta quella polvere d’argento sparsa sopra la testa.
E la luna, laggiù nell’altro emisfero, è una specie di smile: cresce in orizzontale, dal basso.
Viene su come un sorriso che nei giorni, a mano a mano che cresce, si fa sempre più pieno e largo.
Noi siamo abituati a vederla invece crescere dal lato. Piccole differenze, cui nemmeno si fa troppo caso.
Ma lì sì, perché non c’è altro (di artificiale) da guardare, dietro cui distrarsi.
Nemmeno il libro sul comodino, che la luce non c’è e la torcia, con la sua prepotenza che squarcia quel buio assoluto, attira gli insetti (….. “e gli insetti attirano le rane e le rane attirano i serpenti”…proverbio africano).
Nemmeno i fiumi sono come quelli europei, placidi e lineari, regolari e ben definiti.
E quando lo sono, è tutta apparenza…
In Africa i fiumi sembrano respirare e pulsare allo stesso ritmo vibrante di tutta la sua terra: si gonfiano, si espandono, si arricchiscono a ogni curva di nuovi affluenti, rivoli, torrentelli,
per poi venire giù con foga,
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Waterval Boven |
articolandosi in cascate
Mac Mac Falls- Blyde River Canyon |
e trascinare con sé tutto ciò che incontrano, cambiando volto al paesaggio, rendendo i loro confini ancora più frastagliati e inafferrabili.
Quasi a dire che sono quello ma anche altro.
Sono fiumi ma anche laghi, pozze in cui gli animali
vanno ad abbeverarsi...o a fare il bagno
ma anche torrenti impetuosi che lambiscono
e modellano rocce.
Poi improvvisamente vanno in secca, lasciano spazio a imponenti distese di sabbia,
diventano deserti aridi e inospitali, costellati di dune, battuti dai venti, evitati dagli animali.
Ma niente, lì nel paesaggio africano, si cristallizza a lungo, e domani magari è tutto diverso da oggi.
Fermarsi in una radura, aguzzare la vista, e scoprire che non è un tronco caduto, quello che giace ai piedi di un albero.
Che solo restando fermi e mettendosi in ascolto, ci si accorge di essere ospiti (non sempre graditi) di un tratto di terra densamente abitata…
Che niente lì in Africa, è solo ciò che appare..
Uno scoglio è il dorso di un ippopotamo
Una foglia è un uccello
Un ramo secco è un insetto
Un tronco abbandonato è un coccodrillo.
Un sasso un po' più grande è un "lucertolone" che scava la sua tana
Un sasso un po' più grande è un "lucertolone" che scava la sua tana
Due rami che svettano su un albero sono le corna di una giraffa
Un arbusto folto e grigio è un elefante, incredibilmente silenzioso e delicato.
Spesso, strano a dirsi, invisibile.
Ma tutto, nella natura selvaggia appare “strano”.
Perché la natura selvaggia cambia le carte in tavola, sovverte regole e convinzioni troppo “umane”, abbassa la cresta di convinzioni radicate e principi assoluti.
In pratica: rivolta l’anima come un calzino. E ti cambia la vita per sempre.