Anche le parole faticano un po’ ad articolarsi in questo periodo di attesa e sospensione.
Aspetto il sole, ma di quello ancora nessuna traccia.
O meglio: a sprazzi, ma per abbeverarsene (e dissetarsene) non basta, del resto saremmo in primavera inoltrata e tutto quello che arriva sono invece raffiche di vento e goccioloni di pioggia.
Oltre a notizie incredibili di neve e tornadi.
Poi c’è l’attesa, spasmodica e molto ansiosa, dello scriccamento.
Il tempo cattivo non fa marcire solo piante e coltivazioni varie, ma anche ossa scricchiolanti e articolazioni già difettose, sicché sono qui a pasteggiare con un inutile e anzi pure dannoso Brufen e a stramaledire l’attimo in cui, molto ottimisticamente, ho pensato si fosse fuori dall’inverno e me ne andavo in giro tutta baldanzosa in maniche di camicia.
Aspetto di riappropriarmi del mio corpo, perché fino a quando è sofferente il corpo diventa di proprietà esclusiva del dolore (esattamente come l’anima, a volte in una fusione un po’ complicata da gestire), che io la lezione yogica di “sentire il dolore e poi lasciarlo andare via, senza diventare un tutt’uno con esso”non l’ho ancora fatta mia.
E nemmeno quella di “mantenerla semplice e aderire al presente”, se è per quello.
(anche perché molto spesso mi piace crogiolarmici. Almeno un po’.)
Aspetto di comprare finalmente una nuova tovaglietta di plastica supercolorata per il tavolino del balcone (cenarci pure mi sembrerebbe un sogno ancora esagerato!), ma se non altro allargare i confini della casetta e avere uno spazio in più per leggere, stirare, appoggiare il portatile.
Sistemarci il vaso di peonie ormai prossime alla sfioritura definitiva, che pure loro si saranno rotte di aspettare sto sole ormai.
Aspetto che mi torni la voglia di fare progetti, che qualche volta pure quelli sono fastidiosi.
Dispendi di energia inutile.
Aspetto che mi passi la smania di avere tutto sotto controllo e funzionalmente a questo lascio andare un sacco di cose alla deriva, per imparare che tanto alla fine, deriva non è mai.
E in tutto questo mi godo anche i lati positivi.
Come due giorni tutti interi da passare a casa, subito dopo il sabato e la domenica.
Che in totale quindi fanno quattro.
In compagnia unicamente di me stessa.
Senza avere voglia di fare nulla e con la scusa buona per potermelo concedere.
Ma del resto lo diceva anche il mio oroscopo di questa settimana, ed è come andare a scuola con una rassicurante giustificazione scritta:
Leone 23 luglio-22 agosto
Il tuo compito questa settimana è prenderti cura di te: coccolati, ascoltati, concediti qualche regalo o attenzione extra.
Le attenzioni non mancano, mi sono perfino riletta, un po’ controvoglia, ma alla fine con soddisfazione, Il piccolo principe.
E ho ritirato fuori dall’armadio di mia suocera il corpetto dell’abito di nozze.
(la gonna no perché in realtà non cercavo emozioni, solo, molto pragmaticamente, un modo per riutilizzarlo: i vantaggi di sposarsi in rosa anziché in total white).
Per il regalo, sono indecisa fra una cinquantina almeno di opzioni, ma di certo non faticherò ad eseguire questo compito per intero, con tutti i sentimenti.
Intanto domenica sera in cielo c’era una luna di quelle bellissime, struggenti.
Vicina, enorme, solo lievemente offuscata da nubi che però non osavano avvicinarsi troppo, ma le facevano solo da contorno.
Restare a guardarla per un po’ e poi continuare a visualizzarla per molto tempo ancora, è stato il primo dei regali che mi sono concessa.
Il prossimo sarà certamente un paio di orecchini nuovi.
O delle scarpe con il tacco molto alto.
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In passato con questo condimento avevo fatto i fusilli, ma ancora prima, in origine proprio (cioè quando è sbocciato l’amore folle per il piatto in questione) così condite avevo mangiato le busiate trapanesi. Impossibile ricrearne appieno il sapore senza determinati scenari di mare e di monti davanti agli occhi, ma se non altro ci si può abbandonare al sogno e liberare l’immaginazione.
Sembrerà strano doverci mettere la menta, eppure è proprio quella che conferisce al tutto quell’aroma di sole, di mare, di isole lontane e mitologiche…..
Secca, mi raccomando, che quella fresca in questo caso risulterebbe troppo pungente e poi perché così ricorda pure un po’ l’origano selvatico. E il sogno è servito!
Ingredienti (per due)
250 gr di calamarata fresca
1 trancio di pesce spada (da 200 gr circa)
1 melanzana piccola
Una decina di pomodorini
2 filetti di acciughe
3 spicchi d’aglio
2 dita di vino bianco secco
Prezzemolo
Peperoncino in grani
½ cucchiaino di menta secca
Sale
Olio extravergine d’oliva
Procedimento
Mettere a bollire l’acqua per la pasta. Nel frattempo preparare prima la melanzana lavandola, asciugandola e tagliandola a piccoli cubetti.
In una padella scaldare dell’olio con uno spicchio d’aglio tagliato a metà e tuffarci dentro i dadini di melanzana facendoli rosolare a fuoco sostenuto, dopo averli salati, insaporiti con peperoncino in grani e abbondante prezzemolo tritato.
Quando saranno cotti, metterli a raffreddare su un piatto piano e lasciarli da parte.
Nel frattempo dedicarsi al sughetto vero e proprio: scaldare dell’olio in una larga padella (che poi dovrà ospitare anche la pasta) insieme ai restanti spicchi d’aglio tagliati a metà e ai filetti di acciuga.
Unire i pomodorini tagliati in quattro e far cuocere, sempre a fuoco abbastanza sostenuto, per 3-4 minuti. Dopodiché aggiungere il pesce spada tagliato a cubetti e farlo saltare insieme al condimento, evitando di mescolare per non rischiare di frantumare e ridurre in poltiglia il pesce.
Dopo un paio di minuti bagnare con il vino bianco, salare con moderazione (considerando la presenza delle acciughe), unire le melanzane già cotte e lasciare insaporire il tutto ancora pochi secondi.
Sbollentare la pasta per metà del tempo indicato sulla confezione, quindi tirarla su con una schiumarola e finire di cuocerla nel condimento allungando a mano a mano con l’acqua di cottura.
Spolverizzare di menta, completare con un giro d’olio e….buon viaggio!