Le piante da sistemare….e la digitale da smontare per capire perché s’inceppa.
I maglioni di lana ancora da lavare dopo il cambio stagione….e lo sportello della cucina da aggiustare.
Le solite 5-6 lavatrici da avviare….e la fototessera per la patente internazionale da andarsi a fare.
Le occupazioni dell’amato bene e mie, con cui riempire sabati, domeniche e lunghi ponti primaverili, sono tra le più vaste e varie.
E quasi mai coincidono.
Che di per sé non sarebbe un problema: ognuno i suoi spazi, ognuno con i suoi tempi.
È che a noi tante cose piace farle insieme, questo va detto.
Ma certo non tutte.
Per riparare la reflex (il cui utilizzo peraltro mi è precluso....) per esempio non saprei da dove iniziare (ma potrei sempre imparare!).
E di contro lui difficilmente riuscirebbe a districarsi fra le mille opzioni dei programmi di una lavatrice (ma potrei sempre insegnare!).
Di certo non mi darei la zappa sui piedi offrendomi di riparare l’anta della cucina che io stessa ho provveduto a sradicare con la delicatezza che mi è propria: sarebbe come ammettere di averla divelta io e cadrebbe il mito del “mi è rimasta (così, casualmente…) la maniglia in mano e ho visto saltare una vite (che però non trovo più)”.
Ma sarebbe anche insolito che sulla fototessera per la SUA patente internazionale ci fosse la mia faccia.
Insomma: ognuno le sue cose, i suoi hobby, i propri passatempi.
Almeno fino a quando non ci si incontra.
E mentre noi donne, almeno in fatto di compitini casalinghi da assolvere, godiamo di una certa autonomia decisionale (e i suddetti ce li sbrighiamo, per lo più, da sole), i signori mariti quando ciondolano per casa in crisi d’astinenza da partita di campionato o Gran premio di formula uno, corrono il serio rischio di essere presi dal sacro fuoco di (in ordine di pathos crescente):
1. rendersi utili (?)
2. aggiustare qualcosa (??)
3. buttare via qualcos’altro (c’è troppa roba qua dentro)
4. fare più spazio possibile (può sempre servire)
5. liberare energia (fa bene allo spirito)
6. dare una tinteggiata alle pareti (vedi come sono ridotte?)
7. rifare il pavimento dei balconi (è già la terza volta sì, ma vuoi mettere, cambiare sempre prospettiva?)
8. sostituire tutte le lampadine di casa (pure quelle che ancora vanno…mi porto avanti)
9. smontare e rimontare l’armadio a muro per vedere quanto tempo ci vuole (e battere così un immaginario record autostabilito).
E potrei seguitare per molto.
Perché tutto: pur di assecondare la rinascita primaverile (e il guizzo volenteroso che regala) e ammazzare la noia quando è ancora un po’ freschino per andare in spiaggia ma troppo soleggiato per infilarsi in un centro commerciale.
Peccato che i loro tempi raramente coincidano con i nostri.
Che non sempre le loro idee siano felicissime.
Che quasi mai le loro lodevoli intenzioni siano supportate da altrettanto buon senso.
Domenica pomeriggio: primo fine settimana dopo il rientro dal viaggio (che per noi non è vacanza, ma è: pedalare, marciare, dormire pochissimo, puntare la sveglia all’alba, scegliere voli aerei rigorosamente notturni o prudentemente antelucani), invito a cena multiplo appena espletato per festeggiare le mamme (in anticipo di un giorno ma vabbè..), cambio di stagione ancora da completare, nuova settimana di lavoro che sta per cominciare.
Mi chiudo in camera a piegare panni sperando di sfuggire a strampalate richieste.
Perché qualcosa mi dice, con ragionevole certezza, che una stramberia gli salterà in mente di fare per impiegare questa rimanente metà pomeriggio di domenica in cui io, per conto mio, mi sarei già programmata 7-8 cosette da autogestire (ma anche rimandare, che ‘mme frega?).
Sento bussare alla porta, cerco di giocare d’anticipo e manco finisce di aprire che gli urlo: “Usciamo a fare una passeggiata??!” che in verità suona più come un ordine che come una proposta.
Ma lui è già avanti: “No, volevo chiederti se puoi aiutarmi a fare una cosa” e ha già preso la scala, as usual, s’è già fatto spazio in cucina, ha già cominciato a tirare giù le prime tazze, quelle dei viaggi, quelle che ci perseguitano..
Quell’ammasso di porcellana sacra, certo da tirare giù, ne convengo, almeno una volta l’anno: per pulirle,togliere via la polvere unticcia dai pensili che le ospitano, cambiare i giornali che ne rivestono la sommità, trovare sistemazioni più congeniali, fare spazio alle nuove arrivate.
E cerca di rassicurarmi col suo innato ottimismo e l’ormai storica frase: “Ci vorranno solo 5 minuti!”
Ma deve essere un problema di percezioni spazio temporali.
Altrimenti non si spiega com’è che lavori di questo genere saltino in mente rigorosamente:
a) quando hai appena finito di passare l’aspirapolvere per tutta casa e stai ancora boccheggiando per la fatica
b) quando hai appena cambiato i copridivani e sei tutta fiera del profumo che quelli appena lavati spargono tutto intorno.
c) quando hai appena ricollocato al suo posto l’ultimo dei 100mila ninnoli che ti piacciono tanto ma non hai mai voglia di spolverare e invece finalmente stavolta t’eri decisa
d) quando hai appena finito di pensare che “per oggi basta, mo’ mi concedo una bella doccia, poi mi sbrago e mi guardo un film!”
(il tutto sarebbe di per sé privo di nesso logico se non stessimo parlando dei nostri 40 metri quadri di casa dove il salotto è anche cucina che è anche disimpegno che è pure mensola appoggiatutto che è pure appendiabiti…e dove tutto è vicino, confinante, trasbordante, confluente e la polvere transita allegramente da un anfratto all’altro senza soluzione di continuità).
Ma soprattutto, la domanda destinata a rimanere inevasa, è: perché per certi sporchi lavori loro, gli uomini, hanno sempre bisogno del nostro aiuto?
Ché noi per mettere su una lavatrice chiamiamo la vicina di casa?!
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Sarebbe l’ora della dieta e della prova costume, ma piatti così impongono uno slittamento perlomeno di date di inizio, se non proprio di intenzioni generali.
Un pasto completo, e molto di più. La ricetta è di una carissima amica di mia madre (che quando sua figlia ed io eravamo piccole ce la portava pure in spiaggia, sotto l’ombrellone con la tenda tutta intorno, nella Ladispoli di Verdone…). Un po’ laboriosa da preparare e di certo non veloce, ma ha il vantaggio di essere lievemente…light (non c’è besciamella, non c’è burro!), e di avere anche un secondo pasto incorporato, da ritrovarsi bello e pronto, visto che lo spezzatino del sugo servirà solo a dare sapore e potrà essere mangiato in un’altra occasione! e a questo proposito: sembrerebbe bizzarro, ma nel suddetto ci va proprio rosmarino tritato, in luogo del consueto trittico sedano-carota-cipolla.
Ingredienti (per 8 persone)
750 gr di zite
3 etti di spezzatino di muscolo
800 gr di macinato (di cui 600 gr per le polpette e 200 gr per il sugo)
2 barattoli grandi di pelati
1 bicchiere di vino bianco secco
300 gr di mozzarella
2 uova
Abbondante parmigiano
2 rametti di rosmarino
Mezza cipolla
Olio extravergine d’oliva
Sale
Pepe
Procedimento
Staccare gli aghi di rosmarino dai rametti e tagliuzzarli con le forbici o tritarli con la mezzaluna. Tritare anche la cipolla e mettere entrambi a rosolare piano in un largo tegame cosparso di olio. Non appena la cipolla sarà imbiondita unire lo spezzatino, lasciare rosolare anche quello e non appena sarà ben dorato su tutti i lati, sfumare con mezzo bicchiere di vino bianco, alzare la fiamma, aggiustare di sale e pepe, quindi unire i pomodori pelati precedentemente schiacciati con una forchetta o passati velocemente al minipimer. Mescolare e lasciare sobbollire lentamente il sugo per circa un paio d’ore.
Nel frattempo preparare le polpette: mescolare il macinato con le uova, sale, pepe e, volendo, anche la mollica di un paio di fette di pane rifatto precedentemente ammollata in acqua e ben strizzata. Formare delle polpettine molto piccole (all’incirca grandi quanto un’oliva di quelle verdi dolci…) prelevando poco impasto per volta e disporle su un vassoio. Far scaldare poco olio in una larga padella, unire le polpettine e farle dorare bene su ogni lato, sfumando alla fine con il restante mezzo bicchiere di vino bianco e lasciando cuocere ancora pochissimi minuti.
Spezzare a metà le zite e lessarle in abbondante acqua salata. Scolarle molto al dente e passarle sotto il getto dell’acqua fredda per arrestarne la cottura.
Quando anche il sugo sarà freddo, e lo spezzatino sarà stato messo da parte per mangiarlo in un’altra occasione (serviva solo a dare sapore al sugo!)- si passa alla composizione del timballo.
In una teglia rettangolare, grande, disporre un primo strato di sugo, quindi le zite e tutte le polpettine. Ancora sugo, parmigiano e metà della mozzarella tagliata a dadini. Disporre un secondo strato di zite, cercando di sistemarle in modo che abbiano tutte più o meno lo stesso verso, quindi altro sugo, parmigiano e la mozzarella rimanente.
Infornare a 200° per circa 20 minuti, più altri 5 in funzione grill.
Va da sé che, come tutti i pasticci, le lasagne e appunto i timballi, preparato il giorno prima è ancora più buono!