Il rientro da un viaggio non è mai facile.
Se ci sono stati degli imprevisti (e a volte capita) magari lo è un po’ di più. Tiri una sorta di sospiro di sollievo, comunque sempre inframmezzato a quelli per i giorni di vagabondaggio ormai archiviati. Ma se tutto è filato liscio e in più ti trovavi in tutta una serie di condizioni favorevoli in cui ti sei crogiolato per una quindicina di giorni fino a desiderare solo di incatenarti lì per non dover mai più tornare, la situazione si fa complessa.
E lì, le “condizioni favorevoli” non erano una o due.
Erano tutto il cucuzzaro possibile.
Dal clima, ai posti da vedere, alla libertà di spostarsi ogni giorno, alle persone incontrate, agli animali visti, fino ad arrivare al fatto, per nulla trascurabile, di trovarsi nuovamente a girovagare in un continente che, nonostante lo abbiamo girato in lungo e in largo, continua a rimanere in cima alla lista dei preferiti per i programmi futuri.
Perché l’Africa è molto più di un semplice viaggio.
È quella meta per la quale ti prepari a 360° e poi non sei mai pronto. Che puoi leggere sui libri, sentirla raccontare, immaginarla pure, ma poi ti stupisce ogni volta con nuove scoperte, più profonde considerazioni, imprevedibili effetti.
Il posto in cui devi informarti bene sulle malattie, sulla sicurezza, sulle strade da percorrere per non trovarti a dover guidare di notte in zone (la maggior parte) in cui alle dieci di sera tutti i ristoranti sono chiusi e già alle nove, per le strade non circola più nessuno. Grandi città comprese.
Ma è anche il luogo in cui la natura ti travolge e sconvolge.
Entrandoti dentro con le sue meraviglie,
riempiendoti gli occhi e il cuore
e cambiandoti per sempre.
Del Sudafrica abbiamo amato follemente la costa orientale ai tempi del nostro primo viaggio nel 2013, quella delle regioni dello Mpumalanga e del KwaZulu-Natal, delle montagne del Drakensberg, del Parco Kruger e di paesini semisconosciuti e indimenticabili come St Lucia e Sabie.
Questo secondo viaggio, sul versante ovest, un po’ più battuto dal turismo e molto decantato, come la famosissima Garden Route (che noi abbiamo deciso di percorrere al contrario, con punto di arrivo a Cape Town, rispetto a come viene solitamente proposta), ci ha lasciati un po’ meno stupefatti.
Non delusi, ma sicuramente ha confermato e rinsaldato la preferenza e l’amore viscerale per l’altro versante.
Abbiamo fatto un giro contorto per arrivare, piegandoci alla logica delle tariffe aeree più vantaggiose (selezionate con quasi un anno di anticipo) per le quali abbiamo volato prima verso nord, da Roma a Londra, per poi ridiscendere, in 11 ore abbondanti, fino a Johannesburg. Da lì, il giorno successivo, abbiamo preso il terzo aereo, diretto a Port Elizabeth.
Viaggi tutto sommato comodi, considerando anche che per il volo intercontinentale ci è capitato l’Airbus A380, quello a due piani!
Che uno dice: che effetto farà stare su un aereo a due piani, con tanto di scala interna?
Ora lo so: lo stesso identico di quello a un solo piano. Perché salvo per la scala (che comunque è posta in coda e appena visibile) e per il tempo che si impiega a imbarcare il doppio delle persone, non ci si rende nemmeno conto di stare su un aereo grande il doppio del normale.
Comunque, rimessi finalmente i piedi per terra, abbiamo ritirato, da Avis, la macchina a noleggio. E scelto, tra una Ford Ecosport e una Nissan Almera, quest’ultima soprattutto per l’ampiezza del portabagagli, veramente sconfinato e adatto a nascondere opportunamente zaini e valigie durante gli spostamenti giornalieri da una parte all’altra.
Da lì abbiamo deciso di non fermarci in città, ma spostarci subito di una quarantina di chilometri e pernottare in una località, sulla statale N2, davvero poco nota e nemmeno citata sulla Lonely Planet: Canneville.
Il motivo è principalmente quello di visitare le dune di sabbia a ridosso del Sundays River, sul quale sorge la prima Guest House di questo viaggio: Dungbeetle River Lodge. Molto carina, in stile africano, gestita da due simpatiche signore inglesi. Colazione direttamente sul fiume, camere a tema spaziose ed equipaggiate di tutto. Il “paesino” in realtà è costituito soltanto da una manciata di case, uno spaccio di liquori e un pub dove ceniamo la sera con il più classico degli hamburger e patatine. Ma l’atmosfera è quella rilassata di una località di mare tranquilla in cui tutti vanno in giro scalzi.
E le dune sono meravigliose.
Questo villaggio, a soli 5 km dall’ingresso Sud, potrebbe rappresentare un ottimo punto di appoggio per visitare l’Addo Elephant National Park, ma c’è una enorme differenza tra entrare nei parchi come visitatori o pernottare al loro interno. E noi abbiamo scelto la seconda opzione sistemandoci quindi per due giorni all’interno del parco nel suo Rest Camp.
Da lì, staccandocene con strazio, ripartiamo attraverso la Garden Route, alla volta dello Tsitsikamma National Park,
all’interno del quale compiamo solo una breve escursione, concedendoci poi una tappa (solo contemplativa!!) anche presso il Bloukrans Bridge, sotto il quale si svolge il bungee jumping da ponte più alto del mondo.
La nostra meta per il pernotto è invece Plettemberg, famosa località marinara che, a detta della Lp vanta alcuni “tratti di costa e di foresta indigena più belli di tutto il Sudafrica” ma che a noi lascia profondamente delusi, rivelandosi come una delle tappe più anonime di tutto il viaggio. In totale oggi abbiamo percorso 280 km.
Decisamente più affascinanti gli scenari delle soste successive, sempre lungo la Garden Route, rappresentate dalla bella cittadina di Knysna
con la sua laguna che è anche riserva naturale
ma soprattutto Wilderness, con le sue meravigliose spiagge senza fine,
il lussureggiante parco nazionale e un meraviglioso B&B dal nome dolce e suadente, Monte Fleur, dipinto con i colori dell’Oceano.
Il tutto nel raggio complessivo di 115 km.
Dalla brezza oceanica e dalla fitta vegetazione costiera, il quinto giorno ci addentriamo verso l’interno della regione imboccando la strada infuocata che attraversa il deserto del piccolo Karoo,
diretti a Oudtshoorn,
capitale mondiale dello struzzo, distante 120 km.
Visti i 40 gradi e il vento torrido che ci accoglie siamo felici di trascorrere, anche qui, una sola notte. Ma il caldo, di pochissimo attenuato, ci segue anche nella tappa successiva che sarà Swellendam, ridente località montana molto quotata fra i sudafricani, ma a nostro giudizio senza particolare appeal. Se non altro i 230 km che percorriamo per raggiungerla determinano un cambiamento notevole del paesaggio: non più terre aride ma nuovamente una fitta vegetazione e un clima lievemente più sopportabile.
In realtà questa tappa ci serve soltanto come base per una notte, per spezzare il viaggio verso Cape Town (dalla quale ci separano ancora 400 km) e contestualmente visitare altri luoghi d’interesse lungo la strada.
Uno di questi è Betty’s Bay, situata lungo la Route 44, con paesaggi meravigliosi, fra oceano e montagne,
altissime dune di sabbia
e una nutrita colonia di pinguini
molto più bella da visitare di quello che si rivelerà Boulders Beach, la sua più famosa rivale a Cape Town.
Il nostro tour on the road si conclude nella metropoli sudafricana,
dove ci fermiamo 5 giorni, utili a visitare in lungo e in largo la città e tutta la penisola, fino al Capo di Buona Speranza.
Meno animali, rispetto al nostro primo viaggio sudafricano: sono mancati le giraffe, gli ippopotami. Ma più scenari mozzafiato, con passaggi continui tra oceani e montagne, spiagge infinite e terre aride.
Strade sempre molto agevoli, tenute perfettamente e complete di aree picnic anche nelle zone più desertiche.
Assenza quasi completa invece di “autogrill” e stazioni di rifornimento, a parte l’unico caso di un enorme e fornitissimo rivenditore sulla strada per Cape Town.
Si riconferma l’estrema civilità alla guida, anche dei mezzi pesanti: è in voga l’abitudine di spostarsi sulla corsia d’emergenza per lasciarsi superare e poi lampeggiare brevemente quando il mezzo più veloce ci ringrazierà azionando le quattro frecce.
Abbiamo privilegiato spostamenti brevi, coprendo in un giorno la distanza massima di 400 km prevedendo però piccole tappe intermedie, per poter godere di paesaggi, spiagge, escursioni e sentieri naturalistici.
E potuto vivere così anche tanti momenti indimenticabili insieme a persone speciali.
Uno degli aspetti più belli di un viaggio infatti è quello di entrare in contatto, anche se per una manciata di ore, con persone sconosciute con le quali instaurare una comunicazione che va ben oltre il linguaggio verbale. E che è fatta di empatia, sguardi profondi, grandi risate e quella strana alchimia che porta a simpatizzare e capirsi subito. Non con tutti, perché nello stesso viaggio ci siamo imbattuti in persone anche molto antipatiche e scostanti. Ma quando questa magia accade rimane dentro la voglia di tenersi in contatto, rivedersi, scambiarsi numeri di telefono e foto scattate al volo.
Denise e Lou a Wilderness, Angus a Cape Town, Willie e Rina a Plettemberg.
Persone che hanno sfiorato per un attimo le nostre vite lasciando il segno indimenticabile del loro passaggio. Come una affettuosa carezza sull’anima.
E il desiderio di tornare presto.