È accaduto per una serie di cose.
Non tutte della medesima rilevanza ma poco ci manca.
E anche se tra loro, almeno in apparenza, non hanno un nesso logico, potrebbe sempre darsi che siano incomprensibilmente connesse per astruse ragioni a noi precluse (..che sto a dì?)
È capitato cioè che siano trascorsi così, senza colpo ferire, nella quasi indifferenza, o perlomeno senza il giusto tributo di onori e festeggiamenti, un paio almeno di eventi cruciali della mia vita.
Il secondo compleanno del presente bloghetto, per esempio.
Di cui la sottoscritta si è completamente dimenticata, facendolo passare, pure a illuminazione sopraggiunta, allegramente in cavalleria.
Non che l’evento fosse di chissà quale portata, ma magari un piccolo cenno avrei anche potuto farlo, considerate le soddisfazioni che mi dà.
Poi la Sagra del carciofo romanesco, quella manifestazione tutta nostra paesana che si svolge ogni anno da ormai 63 primavere (e quasi sempre rigorosamente sotto la pioggia) assurta peraltro, di recente, al grado di VI Fiera nazionale della Regione Lazio, mica cavoli.
Che paralizza la cittadina per 3 giorni consecutivi, che attira folle di menestrelli, saltimbanchi, artisti di strada, bancarellari e addetti alla frittura dei carciofi e di cui personalmente non mi perdo nemmeno un singolo giorno, trascinandomi dietro pure il riottoso amato bene.
Dal primo all’ultimo istante, bancarella dopo bancarella, spulciando pezzo per pezzo ogni mercanzia.
Per finire a indugiare in quella “piazzetta dei sapori d’Italia” dedicata agli stand gastronomici dei prodotti tipici di ogni regione. È così che mi trovo a gestire (e qualche volta a lasciarmene semplicemente sopraffare…) una lotta intestina fra i miei stessi desideri irrimediabilmente scissi fra una vaschetta di pittule pugliesi alla pizzaiola e un cartoccio ancora fumante di olive ascolane.
Tra un panino con la soppressa veneta e una formetta di cacioricotta da riportarmi a casa.
Sarà per queste lotte intestine che ogni altro barlume di lucidità deve essere venuto meno offuscando anche un po’ la memoria.
Andrei quindi dritta alla ricetta, prima che il tempo dei carciofi finisca e pure di questo piatto si perda la memoria!
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Sull’operazione di pulitura dei carciofi andrebbe fatto un post a parte. Confesso che personalmente ho ancora moltissimo da imparare. Con la proverbiale pazienza con cui mia madre da decenni cerca di spiegarmelo (aò e daje fai così, così e così…’namo, che ce vo?!), mi trovo ancora lì a spiarne gesti rapidissimi e studiarne movimenti talmente lesti da risultare quasi invisibili, nel tentativo di capirci qualcosa da sola. La “corona tutta intorno” per esempio non riesco ancora a farla. Tolgo le foglie esterne, taglio la sommità, sfiletto il gambo, ma per “la scaletta progressiva” dal fondo verso la metà del carciofo per pulirlo meglio sprecandone meno possibile, ancora devo studiare qualche annetto e affinare la capacità di rubare con gli occhi.
Siccome io amo moltissimo i carciofi, anche se rimane qualche buccetta più dura mangio tutto; l’amato bene invece, da venerdì sera che li ho fatti, a momenti è ancora lì che ciancicaa vuoto vivisezionando il malcapitato….
Capatura a parte, pure la cottura meriterebbe un discorso articolato. Fuoco basso, i carciofi sistemati stretti stretti tra di loro, due dita d’acqua a lambirli, qualche cucchiaio d’olio, l’immancabile aglio, prezzemolo come se piovesse e poi tegame coperto, finché non risulteranno di quella morbidezza unica che fa davvero la differenza.
Pare ci sia pure chi, tra coperchio e tegame, usa mettere un foglio di carta forno per meglio trattenere il vapore, ma di questi segreti ho una conoscenza molto blanda e piuttosto di striscio.
Quelli che seguono, considerata la presenza simultanea di formaggio, prosciutto e uova (..e niente altro, eh?!!), va da sé che possano tranquillamente costituire un secondo piatto più che un semplice contorno, ma la questione è talmente relativa che manco io so quale etichette affibbiare.
Ingredienti (per 2)
4 carciofi romaneschi
2 uova
1 etto di prosciutto cotto o Praga
1 etto di provola affumicata
4 cucchiai di parmigiano
4 cucchiai d’olio extravergine d’oliva
2 cucchiai di pangrattato
Abbondante prezzemolo
1 pizzico di noce moscata
Sale
Procedimento
Preparare il ripieno tritando al coltello il prosciutto e la provola (si potrebbe anche mettere tutto nel frullatore ma personalmente non amo molto l’effetto omogeneizzato); trasferirli in una ciotola e aggiungervi il parmigiano, le uova, il pangrattato e la noce moscata. Il sale no perché il ripieno è già saporito di suo e inoltre andrà messo sui carciofi stessi.
Mescolare amalgamando bene il tutto.
Dopo aver pulito i carciofi (ognuno col suo personalissimo metodo…) e averli tuffati in una ciotola di acqua acidulata con succo di limone, scolarli, aprirli delicatamente, capovolgerli e batterli leggermente su un tagliere per farli aprire meglio e scolare l’acqua in eccesso.
Salarli leggermente e riempirli con il composto. Sistemarli quindi in un tegame riempiendo gli spazi vuoti con i gambi tagliati a pezzettini.
Cospargere tutto di prezzemolo; aggiungere due dita d’acqua e 4 cucchiai di olio, coprire e cuocere a fuoco moderato per circa 30-35 minuti bagnandone di tanto in tanto la sommità con il loro stesso sughetto.