Deve esserci una qualche misteriosa forma di connessione.
Un rapporto, forse, anche di causa-effetto, o addirittura di similitudine, che ignoro ma che esiste.
E ogni volta me ne dà la prova inconfutabile e incontrovertibile.
Ovviamente a mie personalissime spese.
Che non ami particolarmente fare biscotti mi pare di averlo già detto.
Che non abbia la grazia sufficiente a sfornarne di vezzosi e delicati mi pare sia abbastanza evidente dalle immagini dei pochi che ho reso noti.
Che decida di farli sempre in concomitanza con trattamenti estetici è forse un particolare che fino a poco fa sfuggiva anche alla sottoscritta.
Ma che adesso impone un approfondimento.
Non so perché ma è scientificamente provato ormai che io decida di mettermi a preparare biscotti sempre quando sono alle prese con “impiastri” di bellezza.
E i disagi che li precedono o che ne conseguono.
Quella volta era l’hennè.
Stavolta il ritorno a casa dalla ceretta e un incubo ad attendermi: la mancanza di acqua!!
Ora, ci sono tanti modi per depilarsi una volta che si è (finalmente) giunte a quella fase limite in cui si decide di riappropriarsi di sembianze umane e dismettere quelle, definite da una nota comica, “da animale a pelo lungo”.
Con buona pace di mariti, compagni e conviventi, che fingono di adeguarsi o di ignorare beatamente i chilometri di piumaggio che ci accompagnano nei nostri periodi di abbrutimento.
Sapientemente nascosti poi dietro scuse di ogni tipo (devo studiare– motivazione particolarmente in uso ai tempi dell’università, specie a ridosso di un esame e abbinata all'altra misteriosa usanza dell’astensione forzata dal lavaggio dei capelli - ; non ho tempo; ho avuto l’influenza da poco e scoprendomi potrei avere una ricaduta…) fino all’autoconvinzione che sì, forse prima o dopo cadranno da soli…
Insomma, illuminata a un certo punto da un provvidenziale barlume di decenza, supportata anche dalla motivazione più tragica e meno plausibile, ma sempre molto efficace (metti che mi rompo una gamba e devono portarmi al pronto soccorso…che figura ci faccio?!) una alla fine si decide e sceglie, per intervenire, il metodo che più le si confà.
Nel mio caso è quello di recarmi da una delicata e abilissima signora che agisce con un impiastro a base di zucchero e limone meglio noto come “ceretta marocchina”.
Che costringe a starsene lì almeno un’oretta abbondante (se non di più) per evadere tutta per intera la pratica ma che alla fine regala l’emozione di potersi guardare con occhi nuovi (e senza più barriere protettive), con il valore aggiunto di non avere nemmeno l’ombra di un pizzicore, un arrossamento o una reazioncina allergica.
Va da sé però che dopo un tale trattamento si corre seriamente il rischio di venire scambiate per un alveare ambulante.
Appiccicose di una non meglio specificata sostanza zuccherina che impone, quantomeno, l’urgenza di una doccia.
Ed esattamente con questo proposito giro la chiave nella toppa di casa e mi fiondo ad accendere il caldobagno per portarmi avanti.
Poi nel frattempo che si scalda l’ambiente, mi dico, do una lavata alle tazze della colazione, quando ecco che…oh, sorpresa! Non c’è acqua.
Per niente, nemmeno una goccia residua e gironzolante raminga nei tubi.
E mo come faccio??
Saggiamente, anziché tirare giù tutti i santi del paradiso e lanciarmi in un anatema crociato nei confronti dell’acea ma anche degli ignoti che, probabilmente, per eseguire dei lavori hanno staccato la fornitura di acqua, decido invece di sperimentare, yogicamente ispirata, L’accettazione.
Allora, smadonnando solo a mente, mi armo di una pezzetta pulita e una bottiglia di acqua minerale e così equipaggiata prendo a rimuovere, come meglio posso, tutto quello che di appiccicoso è rimasto attaccato alla mia epidermide: cioè l’intera ceretta. Fiduciosa che sì, dai, prima dell’ora di andare al lavoro sicuramente l’acqua sarà tornata e io potrò fare una doccia come si deve.
Ma nel frattempo che faccio (a parte ripulirmi alla meglio) per ingannare l’attesa e impiegare quei 100 minuti scarsi che mi sono piovuti dal cielo improvvisamente vuoti di impegni?
Dei biscotti, per l’appunto!
Facili e di rapida esecuzione.
E per l’occasione provo pure lo stampino a espulsione che ho trovato sulla prima uscita del fascicolo di cake design (che ho comprato giusto per sfizio perché la pazienza di fare quei ghirigori certamente non mi verrà mai!) e che in qualche modo dovrò pur usare una volta o l'altra.
Anche il preventivo lavaggio delle mani avviene, alternativamente, per mezzo della succitata bottiglia d’acqua e posso così dare inizio alla preparazione.
I biscotti prendono forma (più o meno), vengono infornati, si cuociono, vengono successivamente sfornati, fotografati, assaggiati...riassaggiati...ma dell’acqua, ahimè, nemmeno l’ombra!
Finisce così che mi trovo a deambulare per il resto della giornata con il desiderio di quella doccia che riuscirò a realizzare solo intorno all’una di notte, quando avrò fatto ritorno a casa, dopo una cena fuori (perchè le cose ovviamente capitano sempre a ciccio!) e soprattutto avrò realizzato (grazie all’intuito dell’amato bene) che in realtà tutto il vicinato ha l’acqua corrente tranne noi…
Che qualcuno abbia pensato bene di chiudere a doppia mandata il NOSTRO rubinetto centrale?
Proprio così!
Uno scherzo? Un errore (ma c’è tanto di nome scritto grosso così)? Una dimenticanza?
Come sia sia, il misterioso tizio in questione, da qualsiasi ragione sia stato ispirato, fra i 365 disponibili, ha scelto esattamente il giorno giusto!
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Buoni per la colazione o per la merenda. Hanno una consistenza piuttosto morbida che non cambierà con il passare dei giorni (a patto di conservarli chiusi in una scatola di latta).
Si può scegliere di preparare il caffè d’orzo con latte o anche con acqua e di aumentare le dosi di miele per renderli più dolci. Per noi, che non amiamo i dolci particolarmente dolci, erano perfetti così.
Ingredienti (per circa 20-25 biscotti)
150 gr di farina 00
100 gr di farina integrale
1 uovo intero
2 cucchiai colmi di miele
40 gr di olio extravergine d’oliva
40 gr di olio di semi di girasole
3 cucchiaini di orzo solubile
1 tazza di latte (io a ridotto contenuto di lattosio)
5 stelle di anice stellato
La buccia grattugiata di mezzo limone
1 pizzico di sale
1 cucchiaino di lievito
Procedimento
Innanzitutto preparare il caffè d’orzo mettendone 3 cucchiai in una tazza e versandoci sopra acqua o latte bollenti mescolando per scioglierlo bene. Unire l’anice stellato e lasciare in infusione fino a che non sarà completamente freddo e comunque per almeno una ventina di minuti.
In una ciotola a parte lavorare il miele con l’olio, aggiungere l’uovo facendolo amalgamare bene, poi le farine setacciate con il lievito, la scorza del limone e in ultimo il caffè dopo aver eliminato le stelle di anice.
A questo punto prelevare piccole porzioni di impasto (che risulterà piuttosto morbido) e disporle (distanziate, perché cresceranno!) su una placca foderata di carta forno schiacciandole un po’ per dare la forma di un biscotto. Cuocere in forno preriscaldato a 180° per circa 12-15 minuti o anche meno, secondo la grandezza dei biscotti che dovranno solo colorirsi leggermente in superficie.