È accaduto di nuovo.
Stavolta (a differenza di quella volta lì) però ero pure salita sul treno giusto.
Non mi ero messa ad aspettarlo sul binario sbagliato.
Non mi ero persa nell’intrigo avviluppante (e sempre un po’ contorto) dei miei pensieri (e dei sogni, dei progetti, della lista della spesa, di cosa preparare per cena, di cosa fare appena messo piede dentro casa: se ritirare i panni dallo stendino, avviare una nuova lavatrice, scongelare la carne per domani sera o tutte e tre queste cose insieme…)
Non ero incastrata fra le pagine di qualche libro fino a scordarmi di ciò che accadeva intorno a me ( che sì vabbè, non costituirebbe di per sé una novità e va bene pure che come lettura pre e post natalizia mi sono scelta una cosina da niente come quel polpettone di Anna Karenina e avrei avuto ben donde quindi di astrarmi, almeno un po’, dalla mera realtà).
No: era filato tutto liscio, almeno fino al momento di salire sul treno.
Binario giusto, treno in orario, perfino un posto a sedere!
Poi, all’improvviso: il buio.
Stacco la spina, sconnetto il cervello, ci ricasco.
Non mi incastro fra le pagine di un libro, ne vengo proprio risucchiata.
Mi calo talmente tanto nei panni di quel belloccio dall’animo un po’ tronista del conte Vronskij, che perdo la cognizione di tutto: tempo, luogo, chi sono-dove sono-perché sono.
Attacco mentalmente tutta una disquisizione con me medesima su pregi e difetti dei protagonisti maschili, dalla quale il signorotto esce, almeno al momento, perdente al confronto col ruspante e ben più affascinante contadinozzo Levin.
Che, se io fossi Anna non avrei dubbi, diamine.
Ma poi pure sta Kitty, così sbarbatella e ingenuotta dall’alto dei suoi 18 anni, sta madre contessa così invadente, che una suocera così proprio…
Insomma, la disamina puntuale e accurata dell’indole dei protagonisti deve durare una buona mezz’ora ma forse anche di più.
E comunque fino a quando ne riemergo fiera riprendendo lentamente – e ancora ingenuamente- contatto con la realtà.
Che è quella di un convoglio stranamente vuoto.
Insolitamente silenzioso.
Vagamente inquietante pure.
Spio fuori dal finestrino, ma è tutto buio e non vedo niente.
Guardo l’orologio e mi rendo conto che sarei dovuta arrivare a destinazione da almeno un quarto d’ora.
Perché sono quasi le nove di sera e io ancora giro per stazioni!
“pensa, sto treno è partito in orario e ha accumulato ritardo strada facendo!” mi dico baldanzosa e non troppo convinta.
Così, tanto per darmi ancora un tono.
Il pensiero che il treno continui a viaggiare perfettamente in orario e che ad accumulare un ritardo (mentale) sia la sottoscritta, sul momento non mi sfiora nemmeno di striscio.
Guardo due persone in attesa davanti alla porta e mi viene così, giusto un piccolo impulso a chiedere, mestamente, dove siamo.
Sospetti zero.
Supposizioni nessuna.
Insulti a me stessa ancora (per un po’) di là da venire.
Ho la fortuna di beccare pure una ragazza straniera, tanto per cominciare a sentirmi lievemente ridicola.
Santa marinella – mi risponde lei sollecita.
Trattengo il respiro, lo dico quasi in apnea, strozzando l’urlo che vorrebbe uscirmi così, istintivo, di getto:
“C@*&XXXXooooooooo, ho saltato la mia fermata!!!!!!!!!”
E devo avere un’aria proprio preoccupante: arruffata, imbufalita, sull’orlo delle lacrime, in preda all’ira più funesta per spingere la tipa a trasformarsi, prontamente, in crocerossina.
“Vieni, ti faccio vedere dove e a che ora passa il treno per tornare indietro”, mi dice – mentre scendiamo- in uno stentato ma comprensibilissimo italiano, illustrandolo lei a me, italianissima pendolare da una vita che fa quella tratta ogni santo giorno (e si sbaglia di frequente).
“Non preoccuparti tu, ciccia: ci sono abituata, è che istintivamente, di primo acchito mi prenderei a parolacce- e stavo per farlo-, ma mi trattengo giusto perchè ci sei tu” – sarei tentata di dirle.
Ma pare brutto, di fronte a tanta gentilezza e delicata premura, allora la lascio fare.
Lascio pure che mi mostri il binario che, mio malgrado, conosco perfettamente per tutte le volte che ci sono finita, come stasera, per sbaglio ad attendere quel famoso treno che mi riporti indietro.
E arriva la parte penosa di tutta la questione: chiamare casa, avvertire l’amato bene, imbastire tutta una storia per non passare per la solita distrattona.
Ma non devo fare nemmeno questa fatica, che lui mi precede, rispondendo rassegnato:
“’ndo stai stavolta? Se sei arrivata a Grosseto te conviene fermatte lì’ e riparti domattina!”
Uomo di pochissima fede: quale Grosseto?
Mica ho sconfinato: mi trovo ancora nel Lazio.
Aspetto, rassegnata, 40 minuti il treno per tornare indietro.
Avendo agio, a questo punto, di finire il capitolo e iniziarne pure uno nuovo…
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Che potesse esistere una torta così, io non l’avrei mai creduto. Quando ho letto la ricetta (sul calendario del 2013, ritagliata prima di buttarlo via) infatti ho pensato ci fosse qualche errore, una piccola dimenticanza, un paio di ingredienti, almeno, al di sotto della norma.
Che va bene senza burro.
Va bene pure senza olio.
Al limite penserei pure che vada bene senza lievito.
Ma senza farina, signori miei…
Eppure è così: senza tutte queste cose, che a conti fatti è una torta fatta di soli 4 ingredienti.
E menomale che mi sono decisa a farla, pur tra tutto lo scetticismo di questo mondo.
Buona per smaltire tutte le secchiate di frutta secca avanzate dalle feste.
Ottima per riportare alla mente i sapori di certi torroni.
Unica seccatura: sbucciare mandorle e nocciole, ma se le prendete già senza buccia i giochi sono fatti.
Le nocciole io le ho prese direttamente tostate (e spellarle è stato un attimo); le mandorle pure, ma per sbaglio mi sono capitate quelle con la pelle: ma basta tuffarle per un paio di minuti in un pentolino di acqua bollente e la pelle verrà via in un attimo.
Dopodichè si frulla, si gira, si montano le uova…e via, la torta, miracolosamente, cresce pure!!!
Ho osato soltanto aggiungere, di mio, la scorza grattugiata di un’arancia e ci sta d’ incanto…
Ingredienti (per uno stampo di 24 cm di diametro)
130 gr di nocciole (peso da sbucciate) tostate e spellate
130 gr di mandorle spellate
200 gr di zucchero
4 tuorli
6 albumi
1 pizzico di sale
Scorza grattugiata di 1 arancia (facoltativo)
Procedimento
Tritare mandorle e nocciole: la ricetta diceva finemente ma io mi sono accontentata di farlo grossolanamente e il croccante in bocca non dispiaceva affatto.
Sbattere i tuorli con lo zucchero, quindi aggiungere mandorle e nocciole mescolando bene. Unire anche la scorza dell’arancia: ne risulterà un impasto piuttosto denso e compatto. Montare a neve ben ferma gli albumi con un pizzico di sale, e incorporarli delicatamente al composto mescolando dal basso verso l’alto.
Versare tutto il una teglia oliata e infarinata e cuocere a 170° (o comunque a calore moderato)per circa 30 minuti (nel mio forno ne sono bastati 25).
Si può servire spolverizzata di zucchero a velo o, come nel mio caso, accompagnata da una salsa al cioccolato, o semplicemente così com’è.