Mentre in quasi tutte le famiglie del mondo, nei giorni che seguono Pasqua si affastellano tocchi e tocchetti di cioccolato da smaltire e dal lunedì dell’Angelo in poi è tutto un profluvio di torte glassate e semifreddi appositamente studiati per reimpiegare tutto il bendidio, da noi le cose avvengono, more solito, in maniera leggermente diversa.
Non era un uovo quello che mi sono trovata davanti la mattina di Pasqua per la consueta (e tanto attesa) colazione annuale a base di salame, uova, pizza al formaggio e dolce di Terni (eludendo stoicamente i richiami dell’altra portata tradizionale che avrebbe previsto coratella d’abbacchio con i carciofi….).
O perlomeno non era un uovo di quelli canonici, dalle carte scintillanti e glitterate, ben confezionati e oltremodo seducenti con foto di colate cioccolatose e montagne di nocciole ricoperte (tanto per fare un esempio del mio preferito).
La forma dell’uovo (di Pachicefalosauro magari …) in effetti ce l’aveva, ma le dimensioni facevano intuire qualcosa di diverso, meno raffinato, più ruspante.
Sicuramente, comunque, altrettanto goloso.
O questa almeno era la mia nascosta speranza.
Carta di giornale, scotch a volontà e la plastica delle confezioni di bottiglie d’acqua a racchiudere il tutto, tanto perché non si dica che in questa casa non ricicliamo e riusiamo in maniera irreprensibile.
La fantasia e l’estro del mio sorprendente consorte non hanno limiti e infatti nemmeno per un minuto ho pensato che avesse potuto davvero regalarmi un uovo di pasqua, per Pasqua.
Al limite mi sarei aspettata un torrone, via.
O un vassoio di frappe, tutt’al più.
Ma proprio un uovo di cioccolato, da lui, mai!
Troppo scontato.
Mica come la sottoscritta che gli è andata a prendere (comodamente al supermercato, con l’unico sforzo di sceglierlo, prelevarlo dallo scaffale e portarlo a casa…) quello che più classico non si può, giusto badando che dentro ci fosse una sorpresa da maschio e scongiurare così il rischio che potesse trovarci pochette rosa shocking o specchi da borsetta.
Perché faccio le cose per bene io, che vi credete.
Banalotta ma molto precisa.
Fondente al punto giusto, grande almeno mezzo chilo, carta piena di colori e pure un concorso a premi cui, volendo, poter partecipare per provare a vincere un viaggio: cosa volere di più?
Impiego di fantasia: zero.
Scervellamento scopo sorpresa: meno che mai.
Tempo di evasione pratica: dieci minuti in tutto.
Scontata. E anche estremamente sciatta, ignominiosamente prevedibile, me ne rendo conto.
…Ma tanto a stupire ci pensa lui!
Approcciare infatti quell’enorme massa informe di plastica e carta, confezionata (più o meno) a uovo aveva un che di inquietante ma era anche molto carico di promesse!! Divertente perfino.
È così che piano sono venuti fuori, una dopo l’altra, confezioni di muffin e biscotti, merendine e cioccolatini, praline e ventagli di sfoglia.
Una cascata di golosità da picco glicemico solo a guardare e soppesare!
Sulla quale ovviamente mi sono buttata, subito, a capofitto, selezionando però con estrema cura (questi li nascondo, questi altri non mi attirano più di tanto quindi posso lasciarli in giro...)
Io, la regina delle pause-schifezza ipercaloriche e degli snack confezionati possibilmente trasudanti oli vegetali di dubbia provenienza e conservanti estremamente dannosi per la salute.
Da scartocciare e addentare.
Ma prima ancora da scegliere con molta attenzione e a cui accordare una sofferta preferenza.
Rimandando solo a qualche giorno dopo il piacere di assaggiare anche tutto il resto, e quindi pregustandolo.
Sapendo quanto sia golosa, il mio imprevedibile consorte non poteva scegliere di meglio.
Dove nascondesse questo enorme pseudo uovo di Pasqua in 40 metri scarsi di casa rimane un mistero fitto, ma tant’è.
E mi sono pure sentita rimbrottare per il fatto che quella settimana “aò sei tornata sempre presto e io mi sono dovuto ammazzare per confezionare tutto, sfruttando i momenti in cui eri sul balcone a stendere o sotto la doccia!”
Ignara, che alle mie spalle si stesse tramando cotanta sorpresa.
E quindi ecco, noi più che cioccolato ora abbiamo da smaltire dolcetti vari e multisfaccettati.
Tutti assolutamente poco sani (infatti cerco di preservarne l’amato bene scoraggiandolo dall’addentarne anche solo una piccola parte e sacrificandomi eroicamente al suo posto).
Ma anche cioccolato, sì, perché lui è a dieta e quello che gli ho regalato provate un po’ a indovinare, ancora una volta, chi si immola a farlo fuori prima che arrivi l’estate e sulla superficie inizi a fare sfoggio di quella odiosa patina bianca?
Meglio consumarlo fresco, no?!
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Un dolcetto, fra tutti questi, ci voleva, a interrompere la sequela di piatti ipercalorici e sfrontatamente tradizionali proposti fin qui.
La torta in questione non è proprio produzione recentissima, bensì una di quelle ricette stazionanti lì da un po’.
Credo di averla fatta a gennaio e precisamente per il compleanno di mio suocero, ma l’orticariaera solo funzionale a ottenere un aspetto estetico un po’ diverso dal solito (…e chi ci ha letto un retrosignificato freudiano, deve essere proprio un malpensante!….).
Cambiare look alla solita crostata di ricotta insomma che, detto fra noi, è senza ombra di dubbio la mia preferita fra tutte le crostate. Con l’aggiunta delle mandorle e degli amaretti diventa sublime e la spolverata di cannella a rendere il composto non più bianco ma lievemente rosato…fa tutto il restodella magia.
Se non vi va di formare le bolle, naturalmente potete passare a stendere anche il resto della pasta e a copparla con le formine che più vi piacciono o di cui disponete.…
Ingredienti (per uno stampo da crostata di 24 cm di diametro)
Per base e copertura:
300 gr di farina 00
150 gr di burro a temperatura ambiente
85 gr di zucchero
1 uovo intero
2 tuorli
1 cucchiaino di lievito
1 cucchiaino di cannella
1 pizzico di sale
Per il ripieno
500 gr di ricotta di mucca
100 gr di mandorle
30 gr di amaretti (circa 10 di quelli piccoli)
100 gr di zucchero extrafino
1 bicchierino di rum
1 uovo
Gocce di cioccolato
Procedimento
Preparare innanzitutto la base disponendo la farina a fontana e lavorandola, in punta di dita, con il burro morbido (tirato fuori dal frigo una decina di minuti prima di utilizzarlo, non troppo sennò “si scalda”) a pezzetti, quindi “sbriciolarla” tra le mani, riformare la fontana e romperci dentro l’uovo e i tuorli. Unire anche lo zucchero, la cannella e il lievito e lavorare tutto molto velocemente formando un panetto da avvolgere nella pellicola e riporre in frigo per almeno mezz’ora.
Nel frattempo preparare il ripieno lavorando con una forchetta la ricotta e lo zucchero. Unire le mandorle e gli amaretti tritati, il rum e l’uovo amalgamando tutto con cura.
Stendere ¾ della frolla e sistemarla nello stampo. Riempirla con il composto di ricotta, quindi prelevare piccole porzioni di frolla, appallottolarle velocemente e disporle sul ripieno fino a ricoprirne l’intera superficie (alcune, data la morbidezza dell’impasto, tenderanno ad “affondare”9, ma il bello sarà proprio questo…
Cuocere in forno già caldo a 180° per circa 30-40 minuti o comunque finchè la superficie non risulterà bel dorata.
Lasciare raffreddare e cospargere, a piacere, di zucchero a velo.